A Kiev fallisce la tregua In piazza battaglia e morti

Rischia di finire in un bagno di sangue il nuovo confronto tra polizia e manifestanti a Kiev, dove ieri sono riesplose le violenze dopo alcuni giorni di tregua: il bilancio drammatico di nuovi, violentissimi scontri che ieri sera erano ancora in corso nel centro della capitale ucraina è inevitabilmente provvisorio, ma sono sicuramente almeno nove i morti e circa duecento i feriti.
Purtroppo i segnali che avevano fatto sperare in una pacificazione tra la piazza antigovernativa e il detestato presidente Viktor Yanukovich sono andati delusi nel giro di poche ore. Domenica, dopo due mesi e mezzo, i manifestanti avevano accettato di sgomberare il municipio della capitale in cambio dell'attuazione della promessa amnistia per i 234 manifestanti arrestati nelle scorse settimane. Ieri mattina il Parlamento doveva discutere su richiesta dell'opposizione una mozione per ridurre i poteri di Yanukovich, ma sembra che la richiesta non sia stata accolta. Così circa cinquemila persone si sono dirette minacciosamente verso la Rada (che è appunto il Parlamento ucraino) ma i berkut (le «aquile», forze antisommossa) hanno sbarrato loro la strada. Sono scoppiati scontri molto violenti, anche con uso di armi da fuoco.
Tra gli oppositori le frange più estremiste hanno letteralmente dato battaglia, ma la sproporzione delle forze ha fatto sì che il bilancio delle vittime fosse a loro sfavore: risultano (ovviamente è difficile verificare le cifre) sette morti tra i dimostranti e due tra i poliziotti, e circa 150 feriti contro una quarantina.
Nel primo pomeriggio il governo ha lanciato un ultimatum per lo sgombero del municipio e di altri edifici pubblici, che erano stati velocemente rioccupati, pena il «duro intervento» delle forze antisommossa. La piazza dell'Indipendenza, nuovamente piena di gente infuriata e decisa a combattere, è ridiventata il cuore di una resistenza rabbiosa, che i berkut ancora in serata stavano cercando di schiacciare. Il clima al calare delle tenebre era drammatico, con l'accampamento di protesta dei dimostranti in fiamme dopo l'irruzione della polizia. I manifestanti nazionalisti urlavano slogan, tra cui «Gloria all'Ucraina», sfidando gli agenti. «Non arretreremo di un passo da questa piazza, non abbiamo nessun posto dove arretrare. L'Ucraina è dietro di noi, il futuro dell'Ucraina è dietro di noi», aveva detto ai dimostranti il leader delle proteste Arseniy Yatsenyuk.
Mentre la battaglia divampava nel cuore di Kiev, un altro tipo di duro confronto si svolgeva sul piano diplomatico. Come già nelle scorse settimane, non era il governo dell'Ucraina ma quello della Russia - da sempre abituato a considerare la ex Repubblica sovietica un Paese a sovranità limitata inserito nella sua «orbita» - a gridare all'interferenza occidentale. Per il ministro degli Esteri di Mosca, gli incidenti ripresi ieri altro non erano che «la conseguenza diretta» della politica occidentale, accusata di incoraggiare «le provocazioni contro il potere legale» in Ucraina.
Il riferimento era soprattutto all'incontro tra alcuni leader dell'opposizione ucraina con la cancelliera tedesca Angela Merkel, cui avevano chiesto aiuto e sanzioni contro Yanukovich, e le dichiarazioni della «ministra degli Esteri dell'Ue» Catherine Ashton, tornata a ribadire che un accordo tra Ucraina ed Europa non sarebbe diretto contro la Russia.

Ieri sera, dopo la nuova fiammata di violenza a Kiev, Bruxelles e Washington hanno chiesto la fine degli scontri e sono tornate a «non escludere» sanzioni. Di cui il viceministro russo Karasin, atteso oggi a Kiev, si farà un baffo.

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