L'apertura di Rohani: "Olocausto è un crimine". Ma per Israele non è abbastanza

Intervistato dalla Cnn il presidente iraniano Rohani dice che l’Olocausto c’è stato ed è stato perpetrato dai nazisti contro gli ebrei. Ma per Israele è ancora troppo poco. Netanyahu: "Discorso cinico"

L'apertura di Rohani: "Olocausto è un crimine". Ma per Israele non è abbastanza

Qualcuno ha detto che è un perfetto esempio di marketing politico-diplomatico, ma quella del presidente iraniano Hassan Rohani appare una sostanziale inversione di tendenza rispetto al recente passato. Rohani, infatti, dagli Stati Uniti tende la mano all'Occidente (e al dialogo) ma, soprattutto, riconosce l'esistenza dell'Olocausto, sottolineando che è stato un vero e proprio crimine. In un’intervista alla Cnn il presidente iraniano mette dunque in soffitta le tesi antisemite e negazioniste del suo predecessore, Mahmud Ahmadinejad. E, rivolgendosi al pubblico, lancia un appello in inglese: "Vorrei dire al popolo americano, porto pace e amicizia dagli iraniani agli americani". Un dietro-front rispetto alla furia antiamericana del suo predecessore.

"Non sono uno storico e quando si tratta di parlare della dimensione dell’Olocausto sono gli storici che dovranno riflettere", ha detto Rohani rispondendo alla giornalista che gli chiedeva se, come Ahmadinejad, anch'egli pensasse che l’Olocausto appartiene al mito e non alla storia. Rohani non ha speso molte parole, evitando di scendere nei dettagli, ma con una frase secca ha tagliato la testa al toro: "Qualunque crimine accada nella storia contro l’umanità, compreso il crimine dei nazisti contro gli ebrei, è riprovevole e condannabile. Qualunque crimine commesso contro gli ebrei noi lo condanniamo. Togliere la vita umana è spregevole. E non fa differenza se sia la vita degli ebrei, dei cristiani, o dei musulmani. Per noi è lo stesso". Una condanna, dunque, senza se e senza ma.

Su un altro punto Rohani si è mantenuto perfettamente in linea con la retorica del suo Paese, criticando la nascita dello stato d'Israele. L'ha fatto con la seguente motivazione: l’Olocausto non può essere la giustificazione per un altro crimine, che cioè Israele possa "usurpare la terra di un altro gruppo e occuparla". Nessuno sconto, dunque, ai nemici di sempre. Che tali erano e tali restano anche nonostante il nuovo corso di Teheran. Non a caso Israele non ha dato alcuna apertura di credito alla nuova leadership. Martedì sera, poche ore dopo l’intervento all’Onu, il premier Netanyahu ha liquidato come "cinico" e "pieno di ipocrisia" il discorso di Rohani al Palazzo di Vetro. "È stato un intervento cinico pieno di ipocrisia. Non c’è nessun suggerimento pratico per fermare il programma militare nucleare dell’Iran e nessun impegno per rispettare le decisioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. È esattamente il piano iraniano, parlare e guadagnare tempo per migliorare le capacità dell’Iran per ottenere le armi nucleari oggi il governo ha reagito alla marcia indietro sull’Olocausto dichiarandosi comunque insoddisfatto".

Ma è davvero credibile Rohani? La comunità internazionale se lo chiede con insistenza. Nel suo discorso all'Onu Obama ha definito "incoraggianti" le aperture di Teheran. E Rohani continua a ribadire che il suo Paese non intende produrre l’arma atomica né farà mai ricorso ad armi di distruzione di massa. In più, come prova di buona volontà, ha fatto uscire dal carcere numerosi prigionieri per reati d’opinione. Ma ci sono anche altri segnali distensivi: quelli che sono stati inviati agli stati vicini come l’Arabia saudita, definita "Paese fratello e amico". Rohani ha chiesto a Riad di "voltare la pagina dell’incomprensione" trovando subito la risposta del sovrano saudita Abdullah bin Abdulaziz che lo ha invitato a visitare il regno in occasione della stagione del pellegrinaggio islamico alla Mecca.

Rohani ha avuto il via libera a Khamenei a trattare con gli americani. La guida suprema ha chiesto pubblicamente ai generali di "stare lontani dalla politica" e ha fatto capire di approvare la diplomazia "morbida" vero l’occidente. Piena fiducia, quindi, in Rohani. Perché l'economia iraniana è in crisi (anche per le pesanti sanzioni petrolifere) e bisogna cambiare corso per ridare slancio a un paese piegato dal crollo della valuta e da una disoccupazione sempre più alta. Ma una nuova stagione di buoni rapporti tra Iran e Stati Uniti avrebbe anche enormi riflessi positivi su tutta la regione mediorientale. A partire dalla Siria, sia sulla questione arabo-palestinese. Forse sono obiettivi troppo grandi da centrare.

Molto dipenderà da quanto Rohani riuscirà a portare a casa (facendo cancellare o meno le sanzioni). Senza risultati, infatti, gli sarà difficile, se non impossibile, resistere alle spinte ultraconservatrici che già non gli perdonano l'apertura all'Occidente.

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