L'Egitto trema, in piazza i ribelli anti Morsi

Da giorni l'Egitto si prepara alla manifestazione di oggi, nell'anniversario dell'elezione del raìs Mohammed Morsi. Ne parlano i gornali e le tv di tutto il mondo, preoccupati. Ai supermercati si sono formate code alle casse: la popolazione fa la scorta pensando al peggio. I militari hanno già messo in sicurezza i luoghi chiave del potere. Gli Stati Uniti - dopo la morte di un cittadino americano durante gli scontri ad Alessandria venerdì - sconsigliano ai connazionali viaggi nel Paese. Il presidente Barack Obama ha chiesto ieri agli egiziani di scegliere il dialogo e non la violenza.
La protesta di oggi, davanti al Palazzo presidenziale, ha già fatto così i titoli dei giornali nazionali e internazionali prima ancora di iniziare. Alla sua origine non c'è un partito politico ma una corrente popolare di attivisti. Alcuni suoi membri hanno fatto parte di Kifaiya, il movimento che per primo, nel 2005, osò mettere in questione il potere assoluto di Hosni Mubarak. La campagna «Tamarrud», ribellione in arabo, si è fatta conoscere per il suo lavoro nelle strade. Da maggio ha fatto circolare una petizione per la rimozione del presidente. I suoi attivisti, carta e penna alla mano, hanno passato giornate intere a fermare gli egiziani nel traffico delle loro strade. «Perché la sicurezza non è ricomparsa, perché i poveri non hanno un posto, perché non ho dignità nel mio Paese», è scritto nella petizione. Il «movimento ribelle» ha basato la sua campagna su un unico messaggio che ha unificato un'opposizione divisa dopo la rivoluzione che nel 2011 ha fatto cadere Hosni Mubarak: «Morsi, non ti vogliamo più». Ed è con questo slogan che il movimento, dopo aver formato con alcuni partiti politici dell'opposizione il Fronte 30 giugno, arriva in piazza oggi, forte della dichiarazione di uno dei suoi fondatori. A una conferenza stampa, ieri, Mohammed Badr ha annunciato che la petizione sarebbe stata firmata da 22 milioni di egiziani, un numero maggiore rispetto ai 13 milioni di voti ricevuti dal presidente alle elezioni dell'anno scorso. Alcuni deputati del Parlamento si sono dimessi ieri in sostegno «dei 22 milioni di egiziani anti-Morsi».
I sostenitori del raìs parlano però di numeri gonfiati, sostengono che Tamarrud avrebbe raccolto poco meno di 200mila firme e hanno lanciato una petizione rivale che secondo gli organizzatori avrebbe raccolto undici milioni di firme.
I «ribelli» e il resto dell'opposizione accusano Morsi e i Fratelli musulmani di aver dirottato la rivoluzione, abbandonato la transizione democratica. Dall'altra parte, il presidente denuncia generici cospiratori e più specifici «resti» dell'Ancien régime che agirebbero per far cadere un leader democraticamente eletto. Il timore è che questa polarizzazione estrema possa degenerare oggi in violenze - in cinque giorni di scontri sono già morte almeno sette persone - generando un vuoto di potere pericoloso. «C'è un'atmosfera di paura - scrive al Giornale Hussein Gohar, membro del partito Social democratico - nulla può stemperare le tensioni adesso, la strada è difficile da controllare».
Il Fronte 30 giugno ha presentato già una road map di sei mesi, per andare oltre la protesta.

Gli attivisti propongono la nomina di un premier indipendente ma legato alla rivoluzione, che accetti di non candidarsi a nuove elezioni; la formazione di un governo di tecnocrati; la consegna dei poteri «di protocollo» presidenziali al presidente della Corte costituzionale; la dissoluzione della Camera alta del Parlamento; la sopsensione della Costituzione in vista di una costituente. Per la nuova «ribellione» che raggruppa il diffuso malcontento egiziano, oggi la sfida è grande e non scontata: trasformare in parte i numeri della petizione in numeri della piazza.

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