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Liberato il reporter italiano Venne rapito cinque mesi fa

Liberato il reporter italiano Venne rapito cinque mesi fa

Mentre si prepara un attacco pesante, a colpi di missili, in Siria ieri è stato liberato il giornalista Domenico Quirico di cui si erano perse le tracce dallo scorso aprile. Ne ha dato notizia La Stampa, il quotidiano torinese che lo aveva mandato come inviato. Stando al giornale il reporter già in serata si trovava in volo per rientrare in Italia.
Intanto il Pentagono studia le mosse: Questa sarebbe la strategia del Pentagono: un intervento duro, in Siria, più intenso di quanto fosse stato lasciato trapelare. Almeno secondo le indiscrezioni del Los Angeles Times, che annuncia una pioggia di missili per cominciare, con «diverse raffiche», poi «una valutazione dopo ogni raffica», seguita da altri bombardamenti per colpire gli obiettivi rimasti.
Soprattutto, nel mirino non ci sarebbero solo i cinquanta siti previsti ma, su richiesta della Casa Bianca, ne sarebbero stati inclusi «molti altri». E quindi serviranno molti più missili, tanto che per l'operazione potrebbero entrare in campo i bombardieri dell'Air Force, i cinque cacciatorpedinieri già presenti nel Mediterraneo orientale e anche la portaerei Uss Nimitz, per colpire dal Mar Rosso. Insomma il piano è pronto, ma a Obama manca ancora l'appoggio del Congresso e questa sera tornerà a parlare agli americani, con una intervista registrata. Poi parlerà ancora domani sera, dalla Casa Bianca.
Il fatto è che al Congresso, dove si dovrebbe iniziare a votare già domani, i numeri non sono certi. Anzi fanno temere la sconfitta. Ieri è stato il capo dello staff di Obama Denis McDonough ad ammettere che tutti, a partire dal presidente, sono impegnati al massimo per cercare di ottenere il via libera al Congresso, ma gli indecisi sono ancora tantissimi: cinquantacinque al senato (su cento) e 272 alla Camera (su 433). Perciò McDonough ha insistito e rilanciato il messaggio del presidente: il Congresso - ha detto - deve determinare se «ci devono essere conseguenze» per l'attacco chimico del 21 agosto scorso; e più che «prove al di là di ogni ragionevole dubbio», per valutare le responsabilità di Assad invoca il «buon senso». Un'arma pericolosa, ma «Assad ci guarda, è importante inviare un messaggio chiaro» e comunque «i rischi di una mancata azione sono maggiori rispetto a quelli di un intervento», che non prevede l'invio di truppe di terra.
I media danno una mano al presidente nel pressing su Capitol Hill: la Cnn ha deciso di mostrare i video choc degli attacchi alla popolazione con il gas sarin (sono i 13 video mostrati giovedì ad alcuni membri del Congresso, considerati «autentici» sulla base delle assicurazioni dell'intelligence); mentre il New York Times ha svelato la costruzione dell'arsenale di armi chimiche di Assad padre e figlio, che avrebbero accumulato una delle riserve maggiori del pianeta, «mentre il mondo guardava». Assad però contrattacca. In una intervista con Charlie Rose, in onda oggi sulla Cbs (è la prima con una emittente americana in due anni), il presidente siriano si difende: «Non ci sono prove che io abbia usato armi chimiche contro la mia gente, non sono stato io». Non conferma né smentisce il possesso di armi chimiche. In compenso minaccia: un attacco darà una mano ad Al Qaida e, soprattutto, se la Siria sarà colpita, i suoi «amici» (cioè Iran e Hezbollah) sono pronti a rappresaglie.
Israele si prepara e ha schierato nuove batterie di difesa anti missile. Secondo fonti israeliane, Tel Aviv sarà avvertita dagli Stati Uniti «alcune ore prima» dell'inizio delle operazioni. La Casa Bianca - ha spiegato McDonough - avrebbe comunque dei piani «per fare fronte a ogni eventualità», anche di ritorsioni. Ieri, dopo la grande veglia che ha radunato in piazza San Pietro centomila persone, all'Angelus il Papa è tornato a parlare di Siria: «Le tante guerre in giro per il mondo sono per problemi, o per vendere armi?».

Nel «dubbio» - come l'ha definito - ha di nuovo chiesto una «giusta soluzione» per il «conflitto fratricida» di Damasco.

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