C'è chi s'infuria, chi pretende fermezza e chi sente puzza d'inciucio. Nel mare magnum dell'indignazione indiana per il mancato ritorno dei marò naviga un po' di tutto. Tutto tranne il buon senso di chi, avendola fatta grossa, sa di doversela aspettare. L'onda lunga dell'indignazione parte dalle coste dello stato del Kerala. Lì i sindacati dei pescatori sono già sul piede di guerra, già pronti a calpestare e bruciare le gigantografie di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. A soffiar sul fuoco della rabbia c'è, nonostante il risarcimento ottenuto dall'Italia, anche la signora Dora vedova di quel pescatore Gelastine ucciso - secondo la versione indiana - dai colpi dei nostri militari. «Questa è una cospirazione decisa al più alto livello, il governo indiano - sbotta la signora - deve pretendere che quei due marinai tornino indietro e vengano processati».
Il Kerala è in queste ore il cratere del vulcano. E non solo perché tutto iniziò da lì. Lo stato costiero è anche nelle mani di un governo comunista, nemico giurato del premier Manmohan Singh di quel partito del Congresso di cui l'italiana Antonia Maino, alias Sonia Gandhi, è una delle madri putative. Tutti questi intrecci, già determinanti per l'innesco e l'involuzione della saga dei marò continuano ovviamente ad infarcirne anche il nuovo capitolo. Non c'è quindi da stupirsi se il premier Singh esibisce pubblica indignazione, alza i toni della polemica e conclude liquidando come «inaccettabile» la posizione dell'Italia. Deve farlo sia per amore di patria, sia per contenere l'opportunismo dei parlamentari del Kerala che in queste ore parlano apertamente di complotto e si dichiarano pronti a tutto pur di mettere in imbarazzo il governo di nuova Delhi. Da questo punto di vista le mosse più pericolose - non solo per il governo di Singh - ma anche per la credibilità di Sonia Gandhi e di tutto il Partito del Congresso sono quelle del Bjp il partito dei nazionalisti indù: «Hanno bluffato, è un tradimento», ripete da lunedì sera il loro portavoce Rajiv Pratap Rudy preannunciando un dibattito parlamentare sull'argomento. Un dibattito in cui sia il Bjp sia i comunisti tenteranno di mettere con le spalle al muro il governo alimentando la tesi dell'«inciucio», ovvero di una conclusione della vicenda concordata con il governo italiano.
Uno dei più esposti all'imminente salva di accuse è il segretario agli Esteri Ranjan Mathai che ieri ha immediatamente convocato il nostro ambasciatore Daniele Mancini chiedendogli ragione della posizione italiana: «Ho convocato l'ambasciatore nel mio ufficio e gli ho spiegato che la nota con cui il governo italiano spiega la sua posizione è assolutamente inaccettabile» ha detto Mathai. La posizione di Mancini, seppur coperta dall'immunità diplomatica, rischia di rivelarsi la più delicata.
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