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Londra si spacca sul terrorismo Così l'islam ci influenza da anni

Il ministro degli Interni: censura preventiva per chi predica odio. Libdem contrari Da Bush a Cameron, gli attentati hanno mutato le sorti della politica occidentale

Londra si spacca sul terrorismo Così l'islam ci influenza da anni

Sui muri del centro islamico di Bolton, alle porte di Manchester, qualcuno ha voluto dire la sua: «Islam=Evil», l'islam è il male. A Grimsby, nord dell'Inghilterra, contro le moschee sono partite le prime molotov. Segnali che fanno il paio con gli slogan urlati subito dopo l'attentato di Woolwich da un centinaio di seguaci della «English Defence League». «Nessuna resa alla feccia islamica» gridavano incappucciati i fan del movimento nato nelle curve degli stadi inglesi e cresciuto professando la lotta aperta all'islam. In pochi giorni, i manifestanti sono diventati mille e ieri sono tornati in strada, fino a Downing Street. «C'è un solo Lee Rigby», ripetevano sventolando la Union Jack, per poi prendersela col governo: «Odiamo David Cameron».
Nonostante gli appelli alla calma, il desiderio di tornare alla normalità e la voglia di convivenza pacifica della maggioranza degli inglesi, nelle periferie di Londra e nelle città «calde», quelle a fortissima immigrazione e ad altissimo tasso di disagio sociale come Birmingham, Liverpool o Bristol il clima è tesissimo dopo l'attacco del 22 maggio. La scritta «Islam» è comparsa ieri sui monumenti ai caduti di Park Lane e Green Park, nella capitale, probabilmente frutto dell'azione di alcuni vandali. «Sapete cosa? La gente in questo Paese è incazzata - dice il leader della Defence League Stephen Lennon - Abbiamo una leadership debole, che ha permesso che tutto ciò accadesse. La gente ha paura di pronunciare la parola musulmano. Ha paura di offenderli». Sotto accusa le politiche sull'immigrazione e gli eccessi del politically correct che stanno spingendo sempre più inglesi fra le braccia della destra della destra, cioè del British National Party e dell'Ukip, il partito indipendentista che ormai i sondaggi danno al terzo posto. D'altra parte, nelle sue frasi deliranti dopo il massacro, anche il killer di Woolwich Michael Adebolajo ha spinto gli inglesi alla rivolta: «Liberatevi del vostro governo, a loro non importa di voi».
Come dall'atto più eclatante del terrorismo islamico - l'attacco alle Torri gemelle - i leader dei Paesi «nel mirino» giocano i propri destini anche sulla lotta al terrore. Ora tocca a David Cameron, che tramite il ministro dell'Interno Theresa May ha rimesso sul piatto una serie di misure per inasprire la censura preventiva sui siti Internet e in tv, mettere al bando i gruppi estremisti e spingere università e moschee a espellere i predicatori d'odio. Misure finora tenute nel cassetto per non scontentare gli alleati di governo, i LibDem sempre attenti a diritti e libertà civili, ma rispolverate sull'onda dell'indignazione generale e che rischiano di creare nuove tensioni nell'esecutivo, al punto da spingere i Tory a dover chiedere il soccorso dei laburisti in Parlamento.
Non solo economia nella battaglia politica, ma anche strategie per combattere l'estremismo e intervenire sull'humus culturale in cui trova terreno fertile. Fu così per George W. Bush, che fece da collante alla nazione sotto attacco e con una visione «neocon» decise di affrontare il problema a muso duro: guerra in Afghanistan e guerra in Irak. Due conflitti che, nonostante le molte polemiche, gli garantirono la rielezione nel 2004. Un anno nefasto, invece, per José Maria Aznar, leader dei Popolari e premier di Spagna per due mandati consecutivi, scivolato a tre giorni dal voto proprio sull'attentato dell'11 marzo a Madrid. La fretta con cui il capo di governo additò i terroristi dell'Eta come responsabili della morte di 177 civili non fu tollerata dagli spagnoli e divenne causa madre della sua bocciatura alle urne.
Un anno dopo fu la volta di Tony Blair. Dopo gli attacchi del 7 luglio, al leader fino ad allora più amato di Gran Bretagna toccò fare i conti con una montagna di critiche: da destra per la politica delle «porte aperte» adottata dal Labour nei confronti degli immigrati e da sinistra per il mai perdonato intervento in Irak, considerato causa dell'odio islamico nei confronti del Regno Unito. Un conflitto frutto dell'asse con George W. Bush che i suoi non hanno mai digerito e per il quale l'eredità di Blair rimane molto più controversa in patria di quanto non solo sia all'estero.
L'anno scorso è stata la volta di Nicolas Sarkozy. Ma gli attentati di Tolosa e Montauban, conditi dalle polemiche sugli intrecci fra terroristi e servizi segreti, hanno solo accompagnato il presidente alla porta di uscita dell'Eliseo. Ora sulla graticola c'è Cameron, contro cui l'assalto della destra estrema su immigrazione e sicurezza sarà ancora più forte. A differenza di Obama, libero dallo stress delle urne, il premier inglese l'anno prossimo si gioca la partita della carriera.

Coi terroristi (e l'estrema destra) alle costole.

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