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Londra vieta a due ministri di vedere il Dalai Lama

La preoccupazione di non irritare Pechino, partner commerciale di primaria grandezza, fa sì che anche la Gran Bretagna cominci a cedere sulla difesa dei principi di libertà. A giugno Cameron ha proibito a due ministri di partecipare a una cena privata con il Dalai Lama

Londra vieta a due ministri di vedere il Dalai Lama

La Cina è vicina. Anche troppo. E anche a Londra. La stampa britannica ha pubblicato ieri una notizia che dimostra come la preoccupazione di non irritare Pechino, partner commerciale di primaria grandezza, fa sì che anche la Gran Bretagna cominci a cedere sulla difesa dei principi di libertà. Nel giugno scorso il premier conservatore David Cameron ha proibito a due ministri del suo governo di partecipare a una cena privata con il Dalai Lama, leader religioso in esilio dei tibetani, nell'appartamento londinese del presidente della Camera dei Comuni, John Bercow.

Tim Louhgton e Norman Baker hanno reagito al divieto con una lettera inviata a Cameron, di cui la stampa britannica è entrata in possesso. In essa si legge tra l'altro che i due ministri esprimono "preoccupazione e fastidio riguardo l'inflessibile direttiva data la scorsa settimana ai ministeri, che vieta qualsiasi contatto con il Dalai Lama durante la visita nel Regno Unito". Secondo Loughton e Baker, la nota di avvertimento del Foreign Office sulla delicatezza della questione tibetana per i rapporti con la Cina non giustificava il "divieto generalizzato a un ministro di incontrare un leader religioso in privato fuori dalle funzioni di ministro: crediamo che sia stata oltrepassata una linea".

Tutto questo mentre continua, nel generale e scandaloso disinteresse dell'Occidente, la tragica sequenza di suicidi di monaci buddisti e comuni cittadini tibetani, che denunciano con queste "immolazioni" disperate, compiute in pubblico dandosi fuoco, la politica di genocidio culturale attuata dal governo cinese nel Tibet. Ieri è stata la volta di un ragazzo di soli 17 anni, Sungdue Kyab, che si è dato fuoco davanti al monastero di Bora a Labrang, nella provincia del Gansu. Sungdue è la novantunesima vittima dal 2009.

Secondo alcune informazioni, il giovane, che si è dato alle fiamme mentre urlava slogan per il ritorno del Dalai Lama e per chiedere la liberazione del Tibet dall’occupazione cinese, era ancora vivo quando sono arrivati gli agenti di polizia e l’hanno portato via, ma senza dire dove.

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