Non si fermano le violenze in diverse capitali del Medio Oriente, dopo gli assalti all'ambasciata americana al Cairo e al consolato di Bengasi, lunedì. E invece di smorzarsi, l'allerta cresce oggi, giorno della preghiera settimanale più importante nel mondo musulmano.
Dietro alle manifestazioni e alle violente proteste, diventate in Libia un vero e proprio attacco militare che potrebbe essere ricollegato ad Al Qaida, c'è il trailer di 14 minuti di un misterioso film di propaganda anti-islamica di cui è ancora da chiarire non soltanto la provenienza ma la reale esistenza. Il trailer del presunto film, tradotto su You Tube in arabo nell'ultima settimana, ritrae in sembianze umane il Profeta Maometto - un tabù per l'islam - e lo dipinge in maniera caricaturale, come un donnaiolo, un violento.
Il timore delle diplomazie internazionali e delle forze di sicurezza di molti Paesi arabi e musulmani è che oggi imam e uomini di religione radicali possano incitare alla protesta o addirittura alla violenza nei loro sermoni, innescando scontri anche maggiori di quelli avvenuti ieri in Egitto e Yemen. Per il terzo giorno di seguito infatti al Cairo centinaia di persone sono scese in strada in prossimità dell'ambasciata americana, un enorme complesso fortificato a pochi passi dall'iconica piazza della rivoluzione, midan Tahrir. Per molte ore, ci sono state sassaiole e scontri tra gruppi di uomini e polizia in assetto anti-sommossa, che ha usato gas lacrimogeni per disperdere la folla. In serata, secondo il ministero della Sanità egiziano, i feriti erano oltre 200.
Washington, preoccupato per la sicurezza delle proprie sedi diplomatiche nella regione, ha accolto con apprensione l'annuncio dei Fratelli musulmani, il movimento del presidente egiziano Mohammed Morsi, che hanno invitato a protestare oggi pacificamente contro il video.
Il presidente Morsi, che ieri ha iniziato la sua prima visita europea a Bruxelles e che oggi è in Italia, ha condannato gli assalti ai consolati con un pesante ritardo e con meno fermezza rispetto ai colleghi libici e il suo prolungato silenzio è stato registrato dalla maggior parte dei mass media americani. Da Bruxelles, ha detto che l'Egitto proteggerà turisti e sedi diplomatiche, ha condannato le violenze, condannato il video prodotto negli Stati Uniti, spiegando che «gli insulti al Profeta sono una linea rossa», e reiterato il diritto a manifestare pacificamente.
In Libia, ieri la tensione era ancora alta: gli Stati Uniti hanno inviato a largo delle coste libiche due navi da guerra come «misura precauzionale». Le autorità locali hanno formato una commissione d'inchiesta per investigare sui fatti che lunedì hanno portato alla morte dell'ambasciatore americano Chris Stevens e altri tre funzionari del consolato e hanno annunciato alcuni arresti. Le violenze non si sono arrestate ai confini libici ed egiziani. Il timore è quello del contagio regionale dopo che ieri centinaia di persone hanno tentato di attaccare l'ambasciata americana a Sanaa, gridando slogan anti-americani. Sono riusciti a rompere un primo cordone di sicurezza, ad arrampicarsi sul muro di cinta, distruggendo vetri e finestre e a sostituire la bandiera americana con il vessillo con la scritta: «Non c'è altro Dio all'infuori di Allah». Negli scontri con la polizia sarebbero morti quattro manifestanti e i feriti sarebbero più di dieci. Ci sono state manifestazioni anche in Tunisia, Iran, Irak, dove il gruppo radicale sciita Asaib Ahl Al Haq, che ha portato a termine attacchi contro obiettivi occidentali in passato, ha minacciato: quel video «mette a rischio interessi americani».
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