Molestata e licenziata E la ricercatrice si dà fuoco

La polizia promette di occuparsi del caso solo ora che la vittima, un'assistente universitaria, è morta e lo scandalo sta montando

Molestata e licenziata E la ricercatrice si dà fuoco

In un Paese in cui la cultura della denuncia degli stupratori è ancora lontana dall'affermarsi, una donna può scegliere di morire per gridare la propria disperazione per non essere stata - nonostante il suo coraggio - ascoltata. È successo a New Delhi, la capitale dell'India. E non si tratta dell'ennesimo terribile episodio di violenze sulle donne perpetrate in ambienti sociali degradati: questa volta la storia è completamente diversa, perché vittima e bruti sono membri dell'elite culturale, docenti universitari.
La protagonista suo malgrado di questa tragica vicenda che si è conclusa ieri con la sua morte dopo una settimana di agonia si chiamava Pavitra Bhardwaj e aveva quarant'anni. Era assistente di un laboratorio di chimica dell'università di New Delhi, il BR Ambedkar College. Sette giorni fa si era cosparsa di kerosene e si era data fuoco davanti al cancello d'ingresso del governatorato: l'effetto era stato spaventoso, con oltre il 90 per cento della superficie corporea ustionata, una devastazione alla quale è impossibile sopravvivere ma che condanna a lunghi giorni di vana sofferenza prima della morte. Solo ieri, infatti, l'agonia di Pavitra si è conclusa: per una settimana l'ex assistente universitaria era però rimasta cosciente e dal suo letto nel reparto rianimazione non aveva fatto che ripetere le accuse contro i suoi aguzzini.
Prima di compiere il suo gesto fatale, la donna aveva deposto un biglietto che ripeteva le sue accuse e le aveva gridate per un'ultima volta davanti ai passanti. La battaglia che aveva ormai perduto era contro il preside della sua facoltà, G. K. Agora, accusato di avere per tre anni esercitato pressioni su di lei allo scopo di abusarne sessualmente, e contro un altro collega di lavoro, che era stato identificato e che avrebbe avuto la stessa colpa. La donna era disperata perché la polizia non aveva mai fatto nulla per verificare le sue denunce, in quanto il comitato etico dell'Università aveva dato ragione al suo presunto persecutore: alla fine di una frustrante trafila nel 2012 per lei era arrivato il licenziamento. A nulla era servito che il personale e gli studenti del BR Ambedkar College avessero più volte organizzato proteste contro il suo allontanamento.
Sabato scorso, mentre Pavitra Bhardwaj lottava invano per la vita in ospedale (i medici avevano chiarito da subito che per lei non c'erano speranze di recupero), si era svolta per iniziativa di numerosi colleghi e studenti una veglia con candele. Oggi si terranno invece riunioni del personale dedicate al caso Bhardwaj in ben 75 centri universitari indiani.
L'aspetto più deprimente di questa tristissima vicenda è che solo adesso la polizia ha fatto mostra di voler fare qualcosa, sia pure con molte cautele. Ieri il vice commissario Alok Kumar ha risposto alle domande dei giornalisti in un tipico linguaggio burocratico e ha spiegato che «stiamo verificando le dichiarazioni della vittima ed interrogando testimoni.

Solo dopo l'espletamento di queste procedure decideremo se formalizzare o meno una denuncia». Come se per anni Pavitra Bhardwaj non avesse chiesto di verificare le sue denunce, e come se i testimoni di questa storia squallida non esistessero anche prima della sua morte.

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