Nei paesi di frontiera israeliani ostaggio della guerra degli altri

Per decenni i confini con la Siria sono stati pacifici. Ma il conflitto tra Assad e ribelli è sempre più vicino. E spaventa anche chi vive a due passi dal Libano

Nei paesi di frontiera israeliani ostaggio della guerra degli altri

La ragazza in calzoncini e scarpe da ginnastica ferma un attimo la sua corsa e indica un prato a meno di 200 metri da una delle villette del villaggio di Alonei Habashan, nel Nord d'Israele: «É caduto lì, tra quegli alberi». La piccola comunità rurale è stata colpita nei mesi scorsi da colpi di mortaio in arrivo da oltre confine. Nella vicina Siria, i ribelli anti-regime si scontrano con le forze armate del presidente Bahsar El Assad. La frontiera è a meno di un chilometro, dietro un collina su cui troneggia una postazione militare israeliana. Il colpo di artiglieria non ha fatto vittime, ma ha gonfiato la paura. «Da quella collina fino a poche settimane fa si potevano sentire e vedere le esplosioni» racconta Michal Raikin, responsabile della sicurezza per la regione di Katzrin, il maggiore centro abitato israeliano vicino al confine, su quelle alture del Golan conquistate alla Siria da Israele nella guerra del 1967.
Benché Israele e Siria siano formalmente in guerra da allora, questo per più di quattro decenni è stato il confine più calmo del Paese. Da diversi mesi però, da quando i combattimenti in Siria si sono avvicinati alla frontiera, la situazione è cambiata. Lungo il confine corrono già i primi metri di una barriera difensiva tecnologizzata, munita di sensori, simile a quella che già esiste al Sud per arginare l'instabilità del Sinai egiziano. Il governo ha promesso di finire la costruzione al più presto.
Tra gli abitanti delle comunità israeliane della zona sono in pochi a pensare che i colpi di mortaio caduti vicino alle loro abitazioni fossero diretti contro Israele. «Siamo finiti nel fuoco di una guerra interna», spiega Michal Raikin. Già durante l'estate, Avner Talmon, ex ufficiale dell'esercito israeliano e abitante del Golan, spiegava quale fosse la vera preoccupazione: «Temiamo che la regione oltre il confine finisca nella mani di gruppi islamisti estremisti, capaci di venire in possesso delle armi chimiche del regime siriano».
Pochi giorni fa, nei pressi di Aleppo, i ribelli avrebbero conquistato l'installazione nucleare di Al Kibar, secondo i mass media internazionali la struttura rasa al suolo nel 2007 da un raid aereo israeliano, mai rivendicato. A fine gennaio, in un simile attacco aereo - il sospetto è ricaduto su Israele - è stato colpito un obiettivo in territorio siriano, sul confine libanese. Forse un convoglio di armi. I vertici dell'esercito d'Israele non nascondono preoccupazioni per un possibile passaggio di armi dai depositi del regime di Assad a quelli libanesi di Hezbollah, alleato di Damasco ma nemico di Israele e minaccioso vicino. L'esercito israeliano nei giorni scorsi ha affrontato anche una nuova incognita: per la prima volta soldati in pattuglia lungo il confine hanno soccorso e portato in un ospedale israeliano sette siriani feriti e ora temono un flusso di sfollati.
Con il crescere delle tensioni, sia lungo il confine con la Siria sia lungo quello con il Libano, la popolazione israeliana si prepara al peggio. Nella zona di Katzrin, da settimane gli abitanti delle isolate comunità rurali hanno formato squadre d'emergenza, pronte a entrare in azione prima dell'arrivo di polizia ed esercito in caso di conflitto: ci sono persone responsabili per l'evacuazione dei bambini, degli anziani, altre hanno invece il compito di occuparsi per esempio di mantenere attiva l'irrigazione dei campi o la mungitura delle mucche. E a meno di un'ora di automobile, sull'altro instabile confine, quello libanese, si prepara anche Kiryat Shmona. La città, a soli cinque chilometri dalla frontiera, nella guerra del 2006 è stata colpita per settimane dai razzi di Hezbollah.

Dopo il sospetto attacco israeliano in Siria, i funzionari del comune hanno ricevuto moltissime telefonate di cittadini spaventati: chiedevano se gli oltre 500 rifiugi anti missile fossero aperti - spiega Eli Cohen, responsabile per la sicurezza della municipalità. «Qui però - dice - non siamo in Svizzera: viviamo in una zona di guerra e sappiamo quando iniziare a preoccuparci sul serio».
Twitter: @rollascolari

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