Non lasciate sola la Ferrari. Lo sport sempre pronto a prendere parte a manifestazioni e iniziative di ogni genere, non può restare immobile di fronte all'incredibile storia dei nostri due marò detenuti in India. La Ferrari ha accettato la sfida: correre in un Gran Premio di Formula 1 con la bandiera della marina militare è una scelta coraggiosa e che fa molto onore alla scuderia di Maranello.
E gli altri? Dove sono tutti quelli sempre pronti a intestarsi battaglie buoniste? Si ricordano le squadre di calcio con le magliette per sostenere la battaglia contro qualunque tipo di malattia. Si sono visti gli allenatori in tv con la sciarpa colorata per testimoniare la propria vicinanza a qualsivoglia associazione.
Lo sport non vede l'ora di immergersi in qualche straordinaria campagna di sensibilizzazione: prima degli Europei di calcio di Ucraina e Polonia un movimento internazionale - che ovviamente includeva l'Italia - sosteneva che bisognasse boicottare il torneo per protestare contro l'arresto della leader dell'opposizione ucraina Yulia Timoschenko. In subordine i governi dovevano sollecitare le rispettive nazionali ad avere un atteggiamento di formale ostilità nei confronti dell'Ucraina.
A rileggere le cronache di quei giorni fa impressione vedere il coro unanime di condanna nei confronti di Kiev e l'altrettanto unanime richiesta di «fare qualcosa». Lo sport doveva essere il tramite. Per i marò nulla. Calcio, basket, pallavolo: tutti dovrebbero seguire l'esempio della Ferrari e fare qualcosa di forte: sfida un Paese che è anche un grande mercato. La Rossa ha l'opportunità di mostrare il suo gesto di solidarietà in territorio indiano, sfidando apertamente la magistratura e la politica di New Delhi. Gli altri sport no. Paradossalmente questo dovrebbe essere un vantaggio: più facile protestare a distanza, più facile soprattutto dimostrare la propria solidarietà a due militari italiani proprio dall'Italia. Ci si poteva aspettare qualcosa di più dal mondo dello sport che un tempo pensò di non giocare un'amichevole con il Brasile dopo la mancata estradizione da parte del governo sudamericano del terrorista Cesare Battisti. Ecco, non serve non giocare. Basterebbe molto meno: un fiocco giallo con la bandiera dei marò, ovvero lo stemma che ormai da mesi su internet e sul nostro giornale equivale a dire «marò liberi». Quel fiocco su ogni maglietta di ogni calciatore, sulla giacca di ogni allenatore, sulla canottiera di ogni cestista: sarebbe sufficiente a far sentire all'Italia e ai due militari ingiustamente detenuti un po' di vicinanza.
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