Dicono che si fosse fatto costruire un water con un mosaico in oro, disegnato come il trono di Tutankhamon, con tanto di braccioli decorati da teste di leone. Probabilmente è una menzogna messa in giro dalla piazza che lo ha detronizzato. Ma che Yanukovich stesse incubando da un pezzo la sindrome di Saddam è pacifico. E siccome certi destini si somigliano, eccolo ora in fuga come un ladro di polli, rintanato nella natale Doneck, al confine con la Russia, così come Saddam Hussein, illudendosi di sfangarla, si era catafratto nella sua Tikrit.
Finito Yanukovich, e in attesa che pieghi il ginocchio anche il signor Lukashenko, padrone della Bielorussia, la fabbrica di robot da cui uscivano i funzionari dei partiti comunisti della vecchia Europa può chiudere definitivamente i battenti. Quei robot, se ci fate caso, si somigliavano tutti. La testa e il fisico possente, alla Breznev; lo sguardo fiero rivolto al sol dell'avvenire; i capelli in duralluminio, come quelli di Slobodan Milosevic, forgiati nelle stesse officine dove si fucinavano anche le idee sottostanti.
Lei, la dolce Yulia, una tempra da murena dietro un sorriso da miss, eccola invece sugli scudi, radiosa come la star della Columbia Pictures, pronta a riprendere la testa del suo popolo. Fresca come una rosa, neppure un piccolo segno di ricrescita nella sua portentosa acconciatura giallo oro che aureola il viso che amammo, al tempo della Rivoluzione Arancione. Sembrava uno scontro di titani, ma alla prova dei fatti si è capito che di titani, nell'arena ucraina, c'era solo lei, la Giovanna D'Arco della steppa. Tre volte premier, fascinosa leader di quella Rivoluzione che anche se a scoppio ritardato ha trionfato su uno degli ultimi regimi intimamente comunisti, Yulia Tymoshenko esce da queste giornate sanguinose e convulse come una trionfatrice.
Nata quando l'Ucraina era parte dell'Urss, Yulia Tymoshenko, presidentessa del partito Patria, è stata la prima donna presidente del suo Paese. Finì in carcere nel 2011, condannata a sette anni con l'accusa di evasione fiscale e malversazione per aver esercitato pressioni su un accordo per la fornitura di gas con Putin.
Dal carcere, negli ultimi tempi, non aveva smesso un solo giorno di tener testa al regime, aizzando la piazza. «Non lasciatevi sfuggire l'occasione aveva scritto a novembre ai rivoltosi-. Domani sarà troppo tardi». E ieri, vendicandosi delle cancellerie che solo quando tutto sembrava perduto si sono svegliate, ha commentato: «La dittatura è caduta non grazie ai politici e ai diplomatici, ma grazie alla gente scesa in strada che ha saputo proteggere le proprie famiglie e il proprio Paese». E a sera, giunta nella fatidica piazza Maidan a Kiev si è rivolta a una folla in delirio per lei: «I caduti di Maidan sono i miei eroi che non muoiono mai. Saranno sempre la nostra ispirazione. Ucraina libera!». Poi ha invitato la gente a rimanere in piazza: «Il vostro lavoro non è finito».
Figlio di un macchinista di etnia bielorussa e di una bambinaia morta quando lui aveva solo 2 anni, Viktor Yanukovich ha scalato il potere restando sempre fedele all'ortodossia del partito. Un burocrate sagace, accorto, spietato.
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