Le primarie-trappola che logorano chi le fa

Eccessi di democrazia in America come in Italia: la scelta dal basso nasconde sempre insidie. E a volte avvantaggia gli avversari

Le primarie-trappola  che logorano chi le fa

A un certo punto le primarie possono diventare una fregatura. Democrazia, sì. La partecipazione popolare pure. Tante e tutte le cose belle che però ogni tanto si trasformano nel pantano della politica. Il partito repubblicano americano come il Pd italiano. Cambiano le regole, le latitudini, le stature dei candidati e gli scenari internazionali. Non cambiano, però, i potenziali ostacoli dell’eccesso di democrazia. Quello che insegna la situazione Romney-Santorum all’Italia e al mondo è che il meccanismo della scelta popolare di un candidato può nascondere insidie mortali. Il combinato disposto candidati inefficaci-meccanismo elettorale trasforma la selezione dello sfidante di Obama in un estenuante testa a testa nel quale chi ci rimette per un perverso paradosso è proprio il partito. Quindi l’elettorato.

Mitt Romney vincerà la nomination, ma il prezzo che pagherà alla sfida con Santorum potrebbe essere pesantissimo: la sconfitta finale nella competizione contro Obama. Semplice, in fondo: lo scontro fratricida alimentato dalla gioiosa e quasi sempre straordinaria kermesse delle primarie avvantaggia il presidente uscente che in questi mesi sta facendo la sua campagna elettorale tranquilla contro un avversario che ancora non conosce e che proprio per questo diventa facilmente battibile. «Gli altri pensano a uccidersi tra loro, io penso a risollevare il Paese»: il messaggio obamiano è facile, comprensibile e scontato. Come se due calciatori della stessa squadra si scontrassero per conquistare lo stesso pallone lasciandolo, di fatto, tra i piedi dell’avversario.

Romney vince, ma non vince abbastanza. Santorum rimonta, ma non rimonta abbastanza. L’appuntamento è spostato sempre più in là e nel periodo che ti porta fino a quel giorno entra la macchina elettorale del presidente e si prende tutto. Che poi chi sta alla Casa Bianca è già avvantaggiato, se poi le primarie degli altri non consegnano immediatamente lo sfidante, allora la partita per l’anti-Obama diventa veramente complicata.

Nel gioco dei paradossi, ai repubblicani questa volta sarebbe servita una bella nomination calata dall’alto e il gioco si sarebbe fatto più semplice: l’uomo sarebbe stato comunque Romney e adesso lui sarebbe in pieno confronto con il presidente per provare a prendersi la Casa Bianca. Quella non sarebbe l’America, però. Sembrerebbe più l’Italia, dove tuttavia adesso le primarie fanno gli stessi danni che fanno in America: il Pd gioca con la scelta dal basso, se ne vanta, se ne gloria, e poi la subisce. Vincono gli altri, alimentando così quella perversione dell’eccesso di democrazia. Il carico per loro è doppio: allargare alla coalizione il voto per la scelta del candidato li mette davvero in crisi. In molti, ieri, hanno aderito all’appello del Foglio per superare il problema: chiudere le primarie ai soli esponenti Pd.

Farle all’americana, insomma. E non come sta accadendo da noi tra Puglia, Milano, Napoli, Genova, Palermo. Basterà? Che poi nel Pd e dintorni prima si entusiasmano per i trentamila votanti del capoluogo siciliano, poi cominciano a fare i distinguo: immigrati, minorenni, nemici, disturbatori. Come a dire: bella la democrazia, ma non troppa per favore.

Le schede elettorali di una consultazione privata diventano addirittura parte di un fascicolo di un’inchiesta della magistratura: non c’è ancora l’ipotesi di reato, ma c’è l’indagine in corso. Per le primarie. Non ci si può credere. Non è possibile. Bisogna saperla usare la democrazia. Altrimenti quella, prima o poi, ti frega.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica