Rivolta in Egitto, canale di Suez a rischio

GerusalemmeIl presidente Mohammed Morsi ha mantenuto un pesante silenzio durante le ore di totale disordine in Egitto, ieri. La leadership islamista fatica ad affrontare infatti il crescente malcontento sociale e la ricorrente violenza. I colpi arrivano intesi e da fronti diversi. Un tribunale penale della città di Port Said, che siede al Cairo per questioni di sicurezza, ha letto ieri i verdetti riguardanti la strage di febbraio 2012, quando nello stadio della città sul canale di Suez 74 persone rimasero uccise in scontri tra tifoserie. Il giudice ha confermato le 21 condanne a morte già annunciate a gennaio e comminato pene minori, dall'ergastolo a cinque anni di carcere, ad altri accusati.
Le violenze che subito dopo hanno bloccato il Cairo, Port Said e minacciato il traffico attraverso il canale di Suez sono legate alle differenti reazioni delle due città alla sentenza. Nella capitale, gli ultras Ahlawy, fan della locale squadra Al Ahly, hanno assalito e incendiato la sede della Federazione egiziana calcio e un vicino club per poliziotti. Per loro, il verdetto è troppo debole. Su nove agenti accusati, soltanto due sono stati condannati: 15 anni di carcere all'ex capo della sicurezza di Port Said e all'ufficiale responsabile dei cancelli dello stadio, serrati durante gli scontri. Non abbastanza per gli ultras che dopo aver incendiato i due edifici in un quartiere della capitale si sono diretti verso il cuore del Cairo dove si sono scontrati con la polizia. Tre persone, tra cui un bimbo di 8 anni, sono rimaste uccise. La maggior parte delle vittime della strage di febbraio faceva parte della tifoseria dell'Ahly, la stessa che ora accusa la polizia non soltanto di non aver saputo prevenire le morti, ma di esserne all'origine.
La polizia ha abbandonato invece Port Said venerdì, lasciando l'esercito a gestire la sicurezza. A fine gennaio, quando lo stesso tribunale ha reso pubblica la prima parte della sentenza, 21 condanne a morte, quasi tutte ad abitanti della città, la popolazione si è sollevata contro gli apparati di sicurezza, ci sono stati scontri e vittime. Gli abitanti accusano il governo di fare di Port Said un capro espiatorio. Ieri, le violenze sono state contenute, anche se per alcune ore il tentativo fallito di un centinaio di cittadini di bloccare i traghetti locali attraverso il canale di Suez ha fatto temere per le sorti del traffico commerciale di un'arteria di comunicazione vitale per l'Egitto e il mondo intero, attraverso il quale transitano milioni di barili di petrolio alla settimana.
Le difficoltà della leadership islamista non si fermano a Port Said. Il ministero dell'Interno ha sollevato ieri l'allerta nel Sinai, per timore di attacchi di gruppi armati estremisti contro la polizia nella penisola.
Il malcontento sociale contro l'autorità si gonfia e il raìs Morsi fatica a mantenere la sicurezza ovunque, anche perché il suo controllo di forze dell'ordine e ministero dell'Interno è debole. Nei giorni scorsi, ci sono stati importanti scioperi di poliziotti: accusano il governo di sfruttarli nello scontro politico senza però fornire loro i mezzi adeguati.
Il disordine, l'ingovernabilità bloccano ancora una volta il Paese pochi giorni dopo la destabilizzante decisione di un tribunale amministrativo di rimandare la data delle elezioni parlamentari che avrebbero dovuto iniziare ad aprile.

Senza una chiara road map del voto, con una crescente insicurezza nelle strade, è difficile che il prestito da 4,8 miliardi di dollari del Fondo Monetario internazionale, di cui l'Egitto ha tremendo bisogno per salvare la sua economia malata, possa concretizzarsi nell'immediato.

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