La rivoluzione vista dalla finestra

La testimonianza di un lettore che ha visto un'Ucraina diversa da quella che tutti i media raccontano...

“Revoluzia? Niet.” “Rivoluzione? No”. La mimica e la gestualità degli ucraini, più pacata e contenuta rispetto a quella, teatrale, di noi italiani, non lascia spazio ad equivoci: molte persone comuni non aspirano affatto e non credono in una rivoluzione. Come biasimarle? D’altra parte proprio loro, che hanno davvero assaporato i frutti della rivoluzione più invadente, vasta e chiassosa del Novecento, conoscono bene quanto gli ideali romantici siano spesso semplici miraggi dagli strascichi miseri.

Davanti a noi Serghiei e Nadia, marito e moglie, pensionati; minatore e poi autista di camion lui, insegnante lei. Ci troviamo a Makeevka, Donetsk, vecchia conoscenza italiana e baluardo dell’economia sovietica prima e ucraina poi grazie alla posizione strategica all’interno di uno dei distretti minerari più importanti della Russia Europea, quello che vide in azione l’eroe sovietico Stakànov, campioncino nelle tecniche di estrazione di carbone dal sottosuolo.

Nadia è la più comunicativa della coppia e si premura di raccontarci la storia loro e della loro città; lui, timido ma disponibile, parla in termini più emotivi per aiutarci a comprendere cosa significhi avere passaporto ucraino ed “essere Russi”. Nelle parole di Serghiei non vi è alcuna traccia di passione politica nè di ambizioni di rivendicazione di particolari diritti per quelli come lui: quella che ci racconta insieme alla moglie è una storia di vita come ce ne sono tante e, di riflesso, non possiamo non pensare al fatto che i grandi cambiamenti politici e sociali influiscano, alla fine, sempre sulle vite delle famiglie e sui singoli individui.

“La moderna Donetsk è una città che risale al 1869 ma divenne importante negli anni 20' del XX Secolo, quando venne battezzata "Stalino" (lett. “la città dell’acciaio) grazie al ruolo di rilievo nel sistema economico sovietico. Dopo la liberazione, quale polo minerario e siderurgico, cominciò ad attrarre operai da tutta l’URSS: per molti contadini, vista la difficoltà di circolazione ed acquisto di beni di prima necessità, una soluzione attraente era quella di andare a lavorare nelle città industrializzate.

In queste circostanze, in questa sorta di immenso cantiere che era la nuova metropoli sovietica, non importavano le differenze etniche o religiose: c’era bisogno di lavorare, di costruirsi la casetta di legno (oltre allo stipendio molti operai ricevevano di assi, chiodi e permessi edili), maturare il diritto di un alloggio popolare nei quartieri residenziali di nuova costruzione e, nel frattempo, di curare la propria famiglia.”

I bambini nati saranno quelli della generazione di Serghiei e Nadia, non più pionieri ma primi veri inquilini di una moderna città.

Pur essendo originari di Leopoli costoro crescono in una realtà nuova rispetto ai genitori e, proprio come qualsiasi coppia, pensano al lavoro , ai figli etc. Lo Stato dove vivono, l’Ucraina, è parte dell’ “Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche” ed è plasmato secondo un criterio di moderna civilizzazione che ha per modello un prodotto del pensiero russo che si ispira al marxismo. Grossa novità per degli ucraini “doc”? Non proprio: loro hanno poco che li distingue dai russi che stanno dall'altra parte del Don e con i quali, da un punto di vista etnico, hanno stretti legami. Ovviamente la lingua ufficiale è il Russo, ma lo si parlava già al lavoro con i colleghi venuti da lontano, magari “Tatari” (lett “Tartari”).

Per loro "essere Russi" non è una scelta politica, ma semplicemente la consapevolezza di essere cresciuti e vissuti in armonia con un modello civile riconducibile alla Russia. Quando l'Ucraina divenne Stato indipendente accettarono di buon grado il cambiamento poichè si trattava, ai loro occhi, di un cambiamento di natura amministrativo come ce ne sono tanti nella storia, che non ha ripercussioni negative su di un determinato stile di vita.

Il problema nasce semmai quando ad uno Stato Ucraino si comincia, idealmente, a collegare una civiltà e società ucraina, quando si insegna a scuola che ciò che è Ucraino non è Russo e che i costumi del passato altro non sono che un’imposizione Russa ( cosa che, almeno in parte, veritiera) e vanno, di conseguenza, cambiati. Il problema, infine, è rappresentato dalla volontà di distinguere l’Uomo ucraino dell’Uomo russo, senza considerare l’esistenza vera e la profondità di tale differenza. A nostro parere le motivazioni che dividono il popolo ucraino a metà non hanno alcun legame con questioni di natura culturale ma, piuttosto, con gli strascichi di un funesto, recente passato, quello della collettivizzazione forzata delle terre, obiettivo del Primo Piano Quinquennale di sviluppo della stagione staliniana e causa di una delle peggiori carestie nella storia d’Europa, quella degli anni 1932-33, da circa sette milioni di morti.

All’origine dei problemi di oggi, come accade spesso nella storia, il frutto del seme dell’odio, usato in epoca staliniana con grande “generosità” nelle campagne ucraine dell’Ovest, restituito in direzione opposta nell’intimo delle convinzioni dei vinti di allora e oggi, plausibilmente, ancora in grado di ispirare le grida “Slavà Ucraìna” (lett. “Viva l’Ucraina”) della donna dei reportage da Kiev. In quel grido una vita di rancore e l’istinto, certo ispirato all’istinto di conservazione, di dividere il “nostro” dal “loro”.

Vero è tuttavia che i protagonisti dei tragici fatti di allora sono tutti morti e, a tanti anni di distanza, non abbia alcun senso cercare i colpevoli tra i vivi. Perchè non partire dal presente di una società povera ma dignitosa per costruire un futuro migliore per le nuove generazioni, magari conservando quel che c’è di buono in fatto di usi e costumi senza ricorrere a soluzioni mal ponderate o forzate?

Il timore degli ucraini dell'Est, in tal senso, è duplice: da una parte, assodato che il comunismo è collassato, non giustificano il rifiuto, totale ed in qualche caso violento, di un modus vivendi che, pur con mille difetti, ha permesso loro di sopravvivere da uomini civili; dall'altra parte sono diffidenti nei confronti del messaggio secondo cui le scelte politiche dell'Unione Europea e dell’Occidente – che loro chiamano con vecchio e buffo timore “America” - rappresentino l'optimum in fatto di arte di governo. Spesso i parenti che lavorano in Europa, li hanno messi in guardia: molti, tanto per fare un esempio, oltre che della crisi economica, parlano di un’Europa incapace di gestire il problema dell'invadenza culturale islamica. Per molte persone determinati impulsi e legami culturali non sono accettabili: come può, ai loro occhi, un Paese civile concedere spazio a dei potenziali aggressori, che ricordano troppo i terroristi di Beslan?

Molti ucraini sanno di vivere in un Paese con problemi anche seri ma sono altresì convinti che non ci sarà, anche in caso dell’entrata nell’U.E., alcun progetto paragonabile al Piano Marshall che li solleverà miracolosamente portandoli alla ricchezza. Diffidenza verso l’Occidente? Nientaffatto.
Amano l'Europa, amano molto l'Italia, ma dal punto di vista culturale. Sono solo diffidenti verso le “nostre” capacità nell’arte di governare. Se poi – è il loro ragionamento – l’Europa dei governi vede nella Russia uno Stato avversario...beh...

loro SONO russi e non possono accettare di rinnegare un legame culturale solido.

Gabriele Tansella è un nostro giovane lettore freelance che ha voluto regalarci questa sua testimonianza di un'Ucraina poco conosciuta

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