Roma - Il caso dei marò italiani arrestati in India sta aprendo un nuovo fronte di contrasto tutto interno all’Italia. Questa volta lo scontro non è politico, ma tecnico: tra due ministeri. Il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha definitivamente attribuito all’armatore la responsabilità dell’ingresso in acque indiane del mercantile su cui si trovavano i due fucilieri, con la conseguente cattura dei nostri soldati impegnati al contrasto della pirateria in mare, accusati di aver ucciso due pescatori.
Ma ha poi alzato il tiro delle sue precisazioni-accuse: «Il comandante della squadra navale e del Centro operativo interforze della Difesa non avanzavano obiezioni» all’ingresso della «Enrica Lexie» in acque indiane, ha sottolineato Terzi in audizione al Senato, «in ragione di una ravvisata esigenza di cooperazione antipirateria con le autorità indiane, non avendo essi nessun motivo di sospetto». Fu la Marina, dice il ministro, a dare il via libera.
Una frase all'apparenza innocua per il tono delle parole, ma che mostra un paradossale cortocircuito di comandi tra la Difesa e il ministero degli Esteri, che quel 15 febbraio, invece, si oppose con tutte le forze all’avvicinamento della «Enrica Lexie» al porto di Kochi: il trasferimento dell'imbarcazione in acque indiane «e lo scalo dei marò a terra è avvenuto nonostante una opposizione ferma delle nostre autorità diplomatiche e militari presenti in quel momento», la sottolineatura di Terzi.
Ma curiosamente la Farnesina non aveva nessuna voce in quel momento: il ministro degli Esteri «non aveva titolo - ha ribadito Terzi - per opporsi alla decisione del comandante di sbarcare i due militari italiani». È stato comunque l’armatore a autorizzare «l’ingresso in acque indiane del mercantile italiano» con a bordo i fucilieri del Reggimento San Marco, accogliendo «la richiesta delle autorità indiane di deviare la rotta». L’ingresso della «Enrica Lexie» nel porto di Kochi è stato poi ottenuto con «un sotterfugio della polizia». E i due marò sono stati costretti a scendere dalla nave da «un’azione coercitiva portata a compimento da oltre 30 uomini armati della sicurezza indiana».
Questa analisi è solo una parte dell’audizione di Terzi: uno degli uomini più sotto esame del governo Monti ha dovuto rispondere anche del fallito blitz inglese in Nigeria, che ha portato alla morte dell’ostaggio italiano Franco Lamolinara. Non c’è stato dolo da parte del governo inglese, ricostruisce il ministro, ma l’accelerazione del blitz, con la «tardiva comunicazione alle nostre autorità» è stata dettata «dal precipitare della situazione sul terreno», non dal timore «che ci si potesse opporre da parte nostra». Il ministro degli Esteri britannico William Hague, assicura Terzi, ha confermato la «non intenzionalità» della «tardiva comunicazione». La prima informazione sul blitz è avvenuta «alle 11.30 dell’8 marzo» attraverso «l'ambasciatore del Regno Unito», che ha incontrato «il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Catricalà».
In una successiva telefonata a Mario Monti, il premier Cameron (che ha scritto alla vedova di Lamolinara) avrebbe spiegato che i suoi uomini avevano agito «nella convinzione che fosse l’ultima possibilità per salvare» gli ostaggi. Sul fronte India, il ministero degli Esteri sta ora facendo di tutto «per riportare a casa», i due marò, e l’Italia ha il sostegno «di grandi Paesi amici».
Terzi dovrà affrontare oggi il confronto con la Camera, dove addirittura Francesco Rutelli, tra i più vicini al governo Monti, chiede un cambio di rotta di fronte a comportamenti «inaccettabili» verso i due marò italiani.