
Tel Aviv - L’esercito israeliano ha dispiegato ieri due delle cinque batterie del suo sistema anti-missilistico Iron Dome vicino ai confini con Libano e Siria.
Nonostante le notizie in arrivo dalla Siria - il raid notturo contro installazioni militari a Damasco portato a termine secondo fonti di intelligence occidentale da jet israeliani e la crescente tensione lungo i confini - Michal Raikin non riesce a credere che si stia parlando tanto in queste ore della tranquilla zona in cui vive. «Ho letto di quello che è accaduto sul giornale prendendo il caffè», dice la donna, una delle responsabili della sicurezza della regione di Katsrin, a pochi chilometri dalla Siria, su quelle alture del Golan conquistate da Israele nel 1967. Da sei mesi ormai nelle comunità rurali del Nord la routine è qualla di «essere in allerta», racconta Michal. Ora su quel confine c’è preoccupazione per una possibile risposta siriana.
In seguito al raid su Damasco, le reazioni della leadership siriana- e dell’alleato iraniano- sono state minacciose. Intervistato dalla Cnn , il vice ministro degli Esteri Faisal Al Mekdad ha definito gli attacchi «una dichiarazione di guerra». Da Teheran il capo di Stato maggiore iraniano Hassan Firuzabadi ha dichiarato che «le forze della resistenza risponderanno all’aggressione israeliana». Secondo l’emittente libanese Al Mayadeen vicina a Hezbollah, la Siria avrebbe puntato batterie di missili verso Israele.
Il raid di domenica notte è il secondo in meno di 48 ore, il terzo da gennaio. La prima volta Damasco si è lamentata, ha detto che avrebbe risposto militarmente. Con una nuova e più dura operazione israeliana e la possibilità di altre incursioni aeree «la Siria affronta un pressante dilemma », scrive il corrispondete militare del quotidiano Haaretz , Amos Harel, chiedendosi se il regime reagirà all’attacco. «La questione è quanto lontano Israele intende andare e se la Siria risponderà nonostante le paure del regime che un conflitto con Israele possa portare al suo collasso finale».
L’esercito israeliano ha ordinato nel pomeriggio di ieri la chiusura dello spazio aereo nel Nord del Paese a causa delle nuove tensioni, ma le istituzioni locali non hanno ricevuto indicazoni di aprire rifiugi o bunker. Il governo ha aumentato il livello di allerta presso le sedi diplomatiche israeliane all'estero per timore di attacchi terroristici da parte di Hezbollah, secondo i media israeliani. Il premier Benjamin Netanyahu ha posticipato di qualche ora la sua partenza per la Cina e ha riunito il gabinetto di sicurezza per discutere dell’emergenza.
C’è «una naturale preoccupazione per una reazione della Siria o del suo alleato libanese Hezbollah- spiega Shlomo Brom, generale in pensione dell’esercito israeliano - Le probabilità di una rappresaglia diretta sono però basse». Secondo Brom, l’esercito siriano è già indebolito dai combattimenti con le forze ribelli per poter aprire un secondo fronte.
In Libano, Hezbollah deve difendere equilibri politici interni. Con un attacco a Israele si alienerebbe parte delle forze politiche e della popolazione, preoccupata d’essere trascinata in un conflitto non suo. «Hezbollah potrebbe essere soddisfatto con una reazione simbolica: un lancio di missili che non colpiscono nulla », spiega Brom.
C’è un precedente.
Nel 2007, quando Israele bombardò il reattore nucleare siriano, Damasco non reagì e non ammise d’essere stata attaccata. Allora, però, ricorda Ephraim Halevi, ex capo del Mossad, il sito era in una regione remota e isolata. Domenica notte tutti hanno visto la capitale colpita.
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