Se Obama s'aggrappa al padrino

Bill Clinton è il padrino di Barack che manca a Romney

Lasciate perdere l’ovazione, il coro, l’ab­braccio, i lustrini. Obama che sorride al­l’America e al mondo. La notte del presidente: lui, il palco, le lacrime della platea della con­vention democratica di Charlotte. Tutto il con­torno che c’è e che c’è sempre stato. È la sugge­stione di un momento: Obama lì è nel suo habi­tat più consono, perché è un animale da cam­pagna elettorale, è un esemplare unico di comunicatore politico. Tutto perfetto e tutto effimero. Perché non è stanotte che ha provato a riprendersi l’America,Obama. È successo la sera prima, quando lui non era sul palco, è accaduto con la faccia e le parole di Bill Clinton. L’ex presidente mai troppo amato dall’attuale presidente è stato il suo più grande sponsor. Ha parlato per 48 minu­ti inquello che un po’ enfaticamente è stato definito il «miglior discorso di una conven­tion politica». Ha parlato e ha spiegato al­l’America perché dovrebbe fidarsi ancora di Barack Obama. Non sarà questo a far sce­gliere gli elettori, ovvio. Però Clinton serve più di quanto Obama voglia ammettere. È stato un presidente, punto. E questo oggi conta. Ciò che non hanno i repubblicani ce l’hanno i democratici: un padrino che met­ta metaforicamente e no la mano sulla spal­la di un candidato e dica «questo è il vostro uomo, ve lo dico io». In più, Clinton è ancora stimato dall’America che oggi gli dà ancora il 69 per cento di gradimento personale. È un uomo che ha sbagliato molto, ma la cui presidenza viene ricordata positiva­mente. È l’uomo dell’ultimo vero boom economico. È un modera­to. È uno furbo: nel suo intervento ha ringraziato George W. Bush per aver salvato migliaia di vite americane e ha usato una frase di Ronald Reagan contro i repubblicani e a favore di Obama. È il centro, quello che ser­ve alla Casa Bianca adesso. È uno che sa mentire, anche. E non c’entra la sua storia qui. C’entra una bugia che ha raccontato dal palco di Charlotte: «Gli Stati Uniti stan­no meglio oggi di quattro anni fa ». Non è ve­ro e lo sa. Tre milioni di disoccupati in più, il debito pubblico cresciuto, l’incubo di una nuova recessione. Affoga una menzogna in un discorso convincente che regala a Oba­ma più meriti di quanti ne abbia effettiva­mente. Clinton ha smontato il programma repubblicano e l’ha fatto come spesso piace all’America:senza invettive,ma spiegan­do perché la piattaforma democrati­ca è migliore. Non è un dettaglio irri­levante. Gli Stati Uniti sono un Pae­se in cui raramente si vota contro. Non basta dire: gli altri fanno schifo. Serve qualcosa.Serve un’idea.I repub­blicani ne hanno forse anche di più dei de­mocratici. Però la loro convention s’è con­centrata troppo sulla distruzione del demo­ne del presidente. È un limite che oggi rico­noscono diversi analisti conservatori che in­fatti hanno suggerito a Romney e Ryan di puntare più sul racconto di come cambie­rebbero il Paese. Che fate? Come ridate al­l’America il suo ruolo? Come rimettete la gente al lavoro?Clinton ha dato l’impressio­ne di sapere come si fa. Qualcosa che è sem­brata tipo un: ci credo. Poi se è vero o no lo si scoprirà più avanti. Così ha dato a Obama un assist enorme: tieni amico, la palla è anco­ra tua, adesso vai a segnare. È il massimo al quale il presidente possa aspirare ora. Servi­rà? Mancano due mesi alle elezioni. L’effet­to delle convention si esaurirà presto, sì. A Obama toccherà prendere il discorso di Clinton e trasformarlo in una cosa sua, nella spiegazione di che cosa vorrà fare nei prossi­mi quattro anni. La campagna vera è comin­ciata adesso.

Sbaglia chi sostiene che l’Ame­rica sia rip­iegata su se stessa e che questa cor­sa elettorale ne è la prova. Aspettate e vedre­mo tutto: dibattiti,comizi,scandaletti,milio­ni spesi in spot geniali e anche cattivi. Ses­santa giorni sono tanti, anche troppi.L’Ame­rica a volte ha scelto anche in una settimana.

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