Se la Svizzera ci dichiara guerra

Se la Svizzera ci dichiara guerra

Non ci volevano credere quando si sono sentiti rispondere: «Italiani? Allora per voi non c'è posto. Grazie e arrivederci». Il professore con i duecento studenti, pensavano ad uno scherzo; uno strano umorismo svizzero che poteva ricordare la parodia di Aldo Giovanni e Giacomo quando raccontavano il buffo mondo degli svizzerotti con Huber Gervasoni e Rezzonico. Ma il 19 luglio scorso, al rifugio Berghaus Fourcla Surlej, ai piedi del ghiacciaio del Bernina nessuno rideva. Anzi.
Il professor Pierluigi Castagneto, insegnante di La Spezia, in gita in Svizzera con i ragazzi delle parrocchie liguri, ci è rimasto proprio male, soprattutto quando il gestore del rifugio, prima di dire no, ha chiesto al gruppo la nazionalità. «Siete italiani? Avrebbe chiesto il titolare. E allora ve ne dovete andare». Il professore che ha denunciato l'accaduto scrivendo una lettera al presidente della Repubblica Napolitano, non ha dubbi e racconta che si è sentito rispondere: «Sì, siamo razzisti e voi italiani non entrate». Gli svizzeri hanno poi tentato di minimizzare spiegando di averli mandati via «solo perché erano troppi, ma non perché fossero di nazionalità italiana». Restano le testimonianze di duecento ragazzi e del professore che giura di aver raccontato la verità.
Eppure, quello del rifugio negato, è solo l'ultimo capitolo di una lunga sequenza di sgarbi e dispettucci che la Svizzera infligge all'Italia.
Tutto è iniziato con i frontalieri. La crisi, il lavoro che scarseggia anche nella patria del cioccolato, la paura che gli stranieri rubino il lavoro ai locali. È così che è scoppiata la guerra contro gli italiani che vanno a lavorare oltre confine. Battaglie pesanti e offensive, a colpi di battutacce e vignette cattive, come l'infame campagna contro i «ratti» italiani lanciata contro i nostri frontalieri. Un messaggio pubblicitario circolante in rete ha suscitato numerose reazioni indignate.
La campagna xenofoba iniziata su Facebook e su un sito «balairatt» (topi che ballano) e che è continuata per mesi con cartelloni in giro per le strade, rappresenta tre topi, uno rumeno, Bogdan il ladro e due italiani, Giulio, Avvocato lombardo e Fabrizio, piastrellista di Verbania.
Una campagna indecente e cattiva per attaccare i lavoratori frontalieri che secondo gli autori e parte dell'opinione pubblica ticinese porterebbero via il lavoro agli svizzeri.
È da un pezzo che la Lega ticinese, per bocca del suo leader Giuliano Bignasca insiste nella stessa accusa: i lavoratori comaschi, varesini, verbanesi «rubano il lavoro agli svizzeri». Un'ossessione vera e propria che aveva spinto La Provincia di Como, a titolare: «C'è sempre un leghista più a nord di noi». I politici di destra ticinesi, hanno negato di essere i mandanti dell'operazione, anche se l'hanno accolta a braccia aperte. «Da anni ci battiamo per i diritti della popolazione svizzera», diceva il presidente della Lega dei ticinesi, Giuliano Bignasco. «I temi sono proprio i nostri - aggiungeva Pierre Rusconi, presidente dell'Udc di Locarno. Da anni ripetiamo anche noi no ai frontalieri, no ai delinquenti dei Paesi dell'Est, no a una politica bancaria che non ci tutela».
E Paul, barista svizzero doc, ribadisce che «c'è già poco lavoro per noi, basta con il sostenere chi arriva da oltre confine». Nel Canton Ticino, su 300 mila residenti (di cui 150 mila rappresenta la forza occupazionale), 45 mila lavoratori sono frontalieri.
Indecenti quei ratti usati contro di noi. Perché arrivano nella scia di una strada segnata da tappe di odio. Come nel 1896 nei giorni di caccia all'italiano a Zurigo, quando le autorità dovettero organizzare treni speciali per rimpatriare i nostri, terrorizzati. O la chiusura della sala d'aspetto di III classe della stazione di Basilea agli «zingari d'Italia» in transito, in larga parte piemontesi, lombardi, veneti. Sono solo pochi dei tanti esempi di un odio che è cresciuto nel tempo, che credevamo si fosse interrotto che invece ora scopriamo essere riacceso. Esploso nuovamente come un vulcano che si pensava spento. La Svizzera ci ha dichiarato guerra da tempo.

A giugno del 2011, Governo e Parlamento del Canton Ticino aveva chiesto a Berna di bloccare i 54,9 milioni di franchi, 45,7 milioni di euro, di fondi di ristorno dei frontalieri in pagamento il 25 giugno fino all'applicazione della mozione votata all'unanimità dai parlamentari italiani per cancellare la Svizzera dalla lista nera dei paradisi fiscali. Un ricatto.

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