A circa un anno dall'inizio delle tensioni che hanno fatto della Siria un Paese frantumato in due, da una parte il governo di Bashar al-Assad e i lealisti, dall'altra quanti si oppongono e tentano di manifestare il loro dissenso, tra repressioni crudeli, l'Onu prova a fare il bilancio delle vittime, tracciando un quadro della situazione particolarmente tragico.
Le stime delle Nazioni Unite, rese note dal presidente dell'Assemblea Generale, Nassir Abdulaziz al-Nasser, citato da Cnn e Bbc, parlano di più di 8.000 morti. Tra le vittime della repressione anche molte donne e bambini, non ultimi quelli ritrovati cadaveri e mostrati al mondo ieri dai video degli attivisti siriani. A sentire gli attivisti ribelli i morti sarebbero però già oltre quota novemila.
In Siria "le violazioni dei diritti umani", ha dichiarato al-Nasser, sono ormai "largamente diffuse e sistematiche". Una situazione che deve preoccupare "la comunità internazionale, che ha la responsabilità di agire".
Intervistato dal Messaggero Amin Gemayel, presidente libanese per sette anni, dal 1982 al 1989, rincara la dose, parlando di una situazione che "se dovesse peggiorare" non lascerebbe spazio che per una soluzione, ovvero un intervento della comunità internazionale. L'Onu, sottolinea l'ex presidente, "ha molte istituzioni incaricate di dirimere questo genere di situazioni. Esistono numerosi strumenti, non solo militari, per interferire e per intervenire in Siria e per bloccare la mattanza di civili". A partire dalle sanzioni.
E mentre cresce la preoccupazione per quanto in atto in Siria, continua anche l'assalto delle forze governative contro i civili, nell'area centro-nord del Paese. Mohamed Abdullah, attivista locale, denuncia l'avanzata dei carri armati, pronti a colpire "la capitale provinciale di Idlib con artiglieria pesante dalle prime ore del mattino". Nella provincia donne e bambini sarebbero stati presi in ostaggio per far pressioni sugli uomini che hanno aderito alla Rivoluzione.
Il cannoneggiamento continuo da parte delle forze lealiste contro i ribelli - e le notizie di quanto accaduto a Homs nell'ultimo mese - hanno spinto centinaia di persone che vivono in prossimità dei confini turchi a rifugiarsi nel Paese confinante. In 30 giorni di assalto alla città sarebbero state uccise 700 persone, migliaia i feriti.
La ong Human Rights Watch rivela un nuovo motivo di preoccupazione.
Nelle ultime settimane le truppe lealiste avrebbero piazzato mine lungo il confine con il Libano e la Turchia, sui tragitti utilizzati dai profughi per fuggire. Le prime voci in proposito si erano diffuse già a novembre. Un ex sminatore dell'esercito, ora con i ribelli, ha confermato la notizia e sottolineato di avere disattivato almeno 300 ordigni a inizio marzo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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