Bisogna ammettere che non sempre la categoria dei giornalisti brilla per originalità. Ogni anno nuovo che Dio manda in Terra porta con sé alcuni appuntamenti inesorabili: le notizie sui saldi, l'annuncio di nuove tasse (qui non è davvero colpa nostra), i consigli per dimagrire all'insegna dei buoni propositi e quelli per evitare di beccarsi la solita influenza di stagione. Ma soprattutto, puntualissime, arrivano le classifiche degli uomini più potenti o influenti del mondo. E ogni volta viene una gran voglia di accertarsi di come venga stabilito che il presidente degli Stati Uniti è più influente (su chi, poi?) di quello cinese, ma meno della cancelliera tedesca, per esempio. Misteri della geopolitica.
Quest'anno, se non altro, l'implacabile classifica stilata da Foreign Policy (una rivista americana considerata seria e affidabile) porta con sé una sorpresa. Il numero uno non è più il sempre celebrato Barack Obama: non c'è più, semplicemente, un numero uno. Per il presidente di Eurasia Group Ian Brenner, che ha compilato la classifica, oggi è chiara nel mondo la percezione che non esista un leader vero e che invece «tutti si aspettano che qualcun altro si assuma la responsabilità dei problemi e delle sfide più pericolose del pianeta, così enormi che nessuno può gestirle singolarmente». Dietro al Signor Nessuno, per Foreign Policy il leader più influente del mondo è - e chi l'avrebbe mai detto - Vladimir Putin.
Sissignore. In un mondo sempre più multipolare e nel quale l'America obamiana fa dell'influire da dietro le quinte la propria dottrina, emergono i leader in grado di esercitare il proprio peso in ambiti regionali. E chi meglio di Putin, sostiene Brenner. Il tre volte presidente russo, riconosce l'autore della classifica, «non è così popolare com'era in passato» e la Russia «non ha il peso o l'influenza del periodo sovietico, ma nessuno sul pianeta ha consolidato più potere nazionale e regionale».
Sarà senz'altro così. Ma vediamo chi è stato messo in fila dal leader russo: al secondo posto c'è Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve americana e al terzo Angela Merkel, tenuta in alta considerazione per aver adottato politiche che sono «il collante che tiene unita l'Europa» (Brenner glissa su chi paghi i prezzi più alti per questa colla miracolosa). Solo al quarto (in realtà quinto, come si è detto) posto, troviamo l'ex primatista Obama: Brenner giustifica la magra figura con il fatto che «in questo momento Washington è concentrata a guardare Washington». Dietro al presidente americano c'è un italiano, ma non è il premier uscente Mario Monti bensì Mario Draghi: il presidente della Banca Centrale Europea «ha continuato a far scorrere il sangue del Continente» (frase quanto mai ambigua e che forse nel suo letterale significato andrebbe riferita a qualcun altro), un lavoro che «è ben lontano dall'essere finito».
Ancora più indietro figurano personaggi come il nuovo leader cinese Xi Jinping (che deve ancora «farsi conoscere» e la cui notoria vicinanza agli ambienti militari potrebbe farlo presto salire in classifica per ragioni poco piacevoli), la «guida suprema» del regime islamico iraniano Ali Khamenei - curiosamente a pari merito con la presidente del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde, forse per qualche comune tendenza «teocratica» - e il re dell'Arabia Saudita Abdullah al-Saud, quasi novantenne e in malferma salute ma con le mani ben salde sui rubinetti del petrolio.
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