Sui marò l'India stoppa Renzi: niente compromessi

Sui marò l'India stoppa Renzi: niente compromessi

Roma «Faremo semplicemente di tutto». Il neopremier Matteo Renzi non ha perso tempo per affrontare pubblicamente - seppure con un semplice tweet - il caso dei marò, trattenuti in India da più di due anni.
E la fretta è adeguata al calendario, visto che già stamattina la telenovela giudiziaria vivrà l'ennesima puntata a New Delhi, dove la Corte suprema dovrà - o meglio dovrebbe, visti le dozzine di rinvii della causa - esprimersi sulla grottesca questione di quale legge - codice penale o «Sua Act» anti-terrorismo - applicare nel processo a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Nel frattempo, ieri il ministro della Difesa indiano, Arackaparambil Kurien Antony, ha sentito il bisogno di chiarire che «non ci saranno compromessi» sulla vicenda, e dunque niente sconti all'Italia e al suo nuovo esecutivo. Poche ore dopo la presa d'impegno «social» di Renzi, ai giornalisti che gli chiedevano se l'accordo tra i suoi omologhi alla Giustizia e agli Esteri sull'inapplicabilità del Sua Act preludesse a un «ammorbidimento» dell'India sulla querelle, A.K. Antony ha tagliato corto: «Non torneremo indietro in alcun modo sul caso. Andremo avanti sul caso in base alle leggi indiane».
L'India fa muro, insomma. Proprio sul punto sul quale l'Italia ha deciso di opporsi, disertando l'udienza di oggi: l'ambasciatore Daniele Mancini è stato richiamato in Italia da Emma Bonino, e nemmeno l'inviato del governo Staffan De Mistura sarà in aula. Il tutto per mandare, una volta tanto, un segnale chiaro. Ossia che l'Italia non intende più riconoscere la giurisprudenza indiana sul caso, a prescindere dalla pronuncia odierna della Corte suprema, e punta invece all'internazionalizzazione della vicenda.
Il problema è che tra l'udienza del 18 febbraio e quella in calendario stamattina alle 9.30, a Roma è cambiato il governo. E, una volta di più, sono cambiati ancora gli interlocutori da parte italiana. Dall'inizio della storia, era il febbraio del 2012, sono cambiati ben tre ministri della Difesa (Di Paola, poi Mauro, ora Roberta Pinotti), mentre alla Farnesina si sono succeduti in quattro: Giulio Terzi (che si dimise in disaccordo con la decisione dell'esecutivo di rispedire in India i marò), Mario Monti (ad interim), Emma Bonino e, da due giorni, Federica Mogherini. Unico elemento di continuità, finora con scarsi esiti, è stato De Mistura, prima da sottosegretario e viceministro, poi nominato da Letta inviato speciale ad hoc. Ora la palla passa a Renzi. Sta al nuovo esecutivo scegliere se e come confermare la nuova linea che l'Italia ha finalmente sposato, trasformando la vicenda marò da «bega» tra due Paesi a vertenza internazionale, sia per la contestata giurisdizione indiana che per gli oltre due anni di continui rinvii senza che il processo ai due fucilieri di marina italiani sia mai cominciato.

Sta a Renzi «fare semplicemente di tutto» perché la giornata di oggi non sia solo quella della fiducia da conquistare in Senato. Ma segni anche una svolta decisiva nel caso dei due marò. Che di fiducia e lealtà nei confronti dei tanti governi chiamati a occuparsi di loro ne hanno concessa in abbondanza.

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