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Terrorismo Guantanamo, il più giovane detenuto chiede i danni agli Usa

CONTRADDIZIONE Secondo gli americani quando fu arrestato aveva 17 anni. I suoi avvocati sostengono che ne aveva 12

Uno dei più giovani tra i detenuti rinchiusi a Guantanamo vuole portare in tribunale il governo americano. Obiettivo: ottenere un risarcimento per i sette anni passati nel carcere di Cuba. Mohammed Jawad dichiara di essere stato arrestato all’età di 12 anni in Afghanistan, ed è stato rilasciato il mese scorso. I suoi legali hanno intenzione di denunciare l’amministrazione Usa. «Ero un bambino quando mi hanno messo in prigione», ha detto in una recente intervista Jawad. Il Pentagono ha però sempre messo in discussione l’età dichiarata dal ragazzo, sostenendo che in realtà al momento dell’arresto di anni ne avesse 17 e che lavorasse insieme con la resistenza talebana. Jawad fu catturato per aver tirato una granata contro un veicolo militare ferendo due soldati ma a distanza di sette anni nessuna accusa formale è mai stata avviata nei suoi confronti.
In un’affollata conferenza stampa ieri a Kabul, e alla presenza dello stesso Jawad, vestito con i tradizionali abiti afghani, Eric Montalvo, uno degli avvocati difensori militari dell’ex detenuto, ha ripetuto che «non è ammissibile che il governo americano lo abbia rispedito in Afghanistan dopo avergli rovinato la vita, semplicemente dicendo di essersi sbagliato». Secondo i suoi avvocati Jawad aveva probabilmente fra 12 e 15 anni quando è stato trasferito nella dura prigione di Guantanamo. «Nessuno sa bene ancora oggi che età abbia - ha ammesso Montalvo - ma sicuramente era di molto più giovane dei 17 anni dichiarati dalle autorità Usa». Il legale ha poi sottolineato che il giovane «appartiene ad una povera famiglia ed è assolutamente privo delle risorse necessarie per affrontare la lunga terapia riabilitativa di cui ha bisogno». Prendendo brevemente la parola, Jawad ha detto di essere «molto felice di essere di nuovo a casa con amici e parenti. Confermo di essere stato maltrattato nella mia prigionia. Ringrazio tutti quelli che mi hanno aiutato, ma non ce la faccio a rispondere a domande, perché sono ancora in cura».
Qualcosa di più aveva però detto ai giornalisti martedì, sostenendo fra l’altro che a Guantanamo «c’era una grande repressione. E gli atti inumani non sono durati un giorno, una settimana o un mese, ma per tutto il tempo che sono stato là». «Umiliavano malamente i reclusi - ha aggiunto -, insultavano la nostra religione e il Santo Corano. Torturavano e non ci facevano dormire. Sapevano che ero minorenne, ma a loro non importava». Montalvo ha detto che si stanno esaminando tutti gli aspetti giuridici e sociali per avviare una richiesta di indennizzo alle autorità degli Stati Uniti che, ha insistito, «non possono lavarsi le mani di questa tragedia umana».

Esiste anche un problema di sicurezza per il ragazzo, ha infine detto il legale, «dobbiamo convincerlo a moderare i toni perché se cominciasse a criticare sistematicamente gli Stati Uniti diventerebbe un soggetto che forze oscure potrebbero voler eliminare».

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