Tornano le stragi in Libano Ma a che servono i caschi blu?

Due autobombe a Tripoli uccidono 50 persone e ne feriscono 500. Impotenti e a rischio i 1.100 militari italiani della missione Onu

Tornano le stragi in Libano Ma a che servono i caschi blu?

Gli apprendisti stregoni hanno vinto. Lo spiritello della guerra è libero, pronto a ritrascinare il Libano nel baratro di un nuovo conflitto settario e confessionale. Il manifesto dell'apocalisse prossima ventura è vergato con il sangue delle 50 vittime e dei circa 500 feriti dilaniati dalle due autobombe esplose nel cuore di Tripoli, la principale città del nord del Paese. E presagi non migliori arrivano dal sud. Lì - dopo i quattro missili lanciati giovedì contro lo Stato ebraico e rivendicati da un gruppo qaidista - è piovuta la rappresaglia israeliana contro una base del Fronte di Liberazione della Palestina a sud di Beirut. Il riaccendersi della tensione nel sud mette a rischio anche i mille e cento soldati italiani impegnati nella missione Unifil guidata dal generale Paolo Serra.

L'episodio più grave resta, per ora, quello di Tripoli. A sentir Hezbollah la duplice strage è un «atto terroristico parte di un piano criminale finalizzato a diffondere il seme della discordia tra i libanesi». Ma non vedere in quegli attentati la risposta alle autobombe esplose le scorse settimane nella banlieu sud di Beirut, roccaforte della milizia sciita, è un atto di fede assai difficile da sostenere. Tutto quel susseguirsi di massacri altro non è se non la continuazione del conflitto siriano. Non a caso il primo dei due ordigni di Tripoli esplode accanto alla moschea al Taqwa nel quartiere di Zahiriye, durante la preghiera del venerdì officiata dal predicatore Salem al Rafei, strenuo sostenitore della rivolta al regime di Damasco. La seconda fa strage a poca distanza dall'abitazione di Ashraf Rifi, un ex capo della polizia detestato da Hezbollah e dalle fazioni siriane vicine al presidente siriano Bashar Assad.

Il conflitto siriano e le sue divisioni sembrano insomma spingere alla guerra civile anche il Libano. Tripoli, città a maggioranza sunnita, è da due anni il santuario dove i ribelli anti Assad arruolano i propri volontari. Dai suoi quartieri sunniti partono i carichi armi e munizioni acquistati sul mercato libanese e destinati ai gruppi armati impegnati in Siria. La scelta di campo di Hezbollah è stata platealmente esplicitata con la partecipazione all'assedio di Al Qusayr, la roccaforte appena oltre confine dove si concentravano le forze ribelli penetrate dal Libano. Gli attentati delle scorse settimane contro i quartieri di Hezbollah a Beirut sono apparse immediatamente come la rappresaglia per la partecipazione all'assedio di Al Qusayr. E le bombe di Tripoli rischiano di generare un'altra escalation senza ritorno.

Ma la guerra settaria nord minaccia d'infiammare anche il meridione del Libano. Hezbollah, riarmatosi sotto il naso dell'Unifil e forte oggi di circa 40mila missili, avrebbe in verità assai scarso interesse a farsi coinvolgere in un nuovo devastante scontro con Israele. L'incognita, come visto giovedì, sono però le possibili provocazioni dei gruppi sunniti interessatissimi a suscitare una rappresaglia israeliana capace di chiudere in una morsa le milizie sciite.
Così la costosa missione Unifil, già dimostratasi assolutamente inutile e incapace di bloccare il riarmo di Hezbollah, rischia di rivelarsi anche estremamente pericolosa per i nostri soldati. I rischi - già amplificati dopo la decisione dell'Unione Europea d'inserire nella liste del terrorismo l'ala militare della formazione sciita - potrebbero moltiplicarsi nel caso di uno scontro diretto tra Israele e Hezbollah.

Anche perché, se lo scontro divampasse nel contesto dell'emergente guerra civile combattuta da milizie sciite e sunnite, i nostri soldati si ritroverebbero non solo schiacciati tra l'incudine e il martello, ma anche privi di vie di fuga.

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