Usa e Iran verso l'alleanza impossibile

Il conflitto in Irak sconvolge equilibri intoccabili da decenni: Teheran apre al patto anti jihad con Washington

Usa e Iran verso l'alleanza impossibile

Il mondo come l'abbiamo conosciuto fino ad oggi sta tramontando definitivamente. Il segnale è paradossale: il presidente dell'Iran Ruhani propone una comune «lotta contro il terrorismo» agli Stati Uniti per battere l'Isis sunnita e para-qaedista in Irak. Il suo manto nero vuole mescolarsi con la bandiera a stelle e strisce per coinvolgere Obama in quella che per l'Iran sciita è la guerra più santa, quella contro i sunniti. L'epicentro è in Iraq: la guerra sta sciogliendo il confine dell'accordo segreto Sykes Picot del maggio 1916, in cui le potenze occidentali disegnavano sulle spoglie dell'Impero Ottomano il Medio Oriente, e si dividevano le aree di influenza.

In realtà la rivoluzione Khomeinista ha cominciato a tessere la sua mezzaluna sciita estesa dall'Iran all'Iraq, al Libano, alla Siria già dal '79. Ma solo oggi siamo di fronte a una guerra per i confini che inonda la zona di sangue e che l'Occidente non sa come maneggiare. Non è affatto escluso, anzi a Washington se ne discute intensamente, che Obama nonostante la sua riottosità di fronte a qualsiasi intervento, non decida di accettare sottobanco la mano del Paese che chiama l'America «il Grande Satana» e che lascia la sua orma in ogni conflitto, in ogni movimento terrorista, e che viola tutti i diritti umani.

Come è possibile che questo succeda? In Irak negli ultimi giorni, l'Isis, sanguinario gruppo sunnita, assedia il governo di al Maliki nel nord e nel centro dell'Irak, ha conquistato la grande città di Mosul, e si avvicina a Bagdad da Baijy e Tikrit, mentre Kirkuk è abbandonata ai Curdi dall'esercito male armato e terrorizzato.
Non è certo estraneo alla rovina del Paese il precipitoso abbandono degli americani, oggi obbligati a ripensare la loro strategia. Il confine fra Irak e Siria è ormai un terreno di collegamento fra le milizie sunnite jihadiste che si muovono a piacimento tra i due Paesi. Almeno tre battaglioni delle Forze Quds, l'elite delle Guardia Rivoluzionaria iraniana, sono in Irak per aiutare al Maliki nella guerra contro lo «Stato Islamico dell'Irak e della Siria». Con gli sciiti, gli hezbollah e Bashar Assad, per ora in controllo della situazione in Siria.

Soprattutto, il famoso generale iraniano Qasem Sulaimani, comandante delle forze Quds, una delle figure militari più forti della regione si trova ora a Baghdad per aiutare il governo. Sulaimani conosce bene il terreno: nella guerra contro l'Irak era già al fronte e negli anni la sua politica ideologica per un Islam sciita in espansione ha influenzato il suo Paese. L'aspetto religioso del conflitto è fondamentale, si tratta anche del controllo delle città sacre agli sciiti di Karbala e Najab. Dunque Obama è nei guai per l'ennesima volta, e di nuovo per aver compiuto delle scelte eccessive e minimaliste nello stesso tempo: all'inizio, nel 2009, il primo ministro al Maliki era legittimato non solo dalla parte sciita, ma era vissuto dai sunniti come un uomo di mediazione. La calma fu interpretata da Obama come una legittimazione a pianificare la ritirata americana nel 2010 e nel 2011, e non ha cercato di intervenire quando al Maliki si è trasformato nell'uomo forte della parte sciita, con decisi rapporti con l'Iran.

Obama aveva allora 100mila uomini in Irak, ma era determinato a tenersi fuori: e la situazione è scivolata verso il caos, alimentata dallo scontro nella confinante Siria. Adesso l'Iran ha un alleato vincente, Assad, e l'altro, al Maliki, che chiede aiuto.

Anche l'America pensa che si debba fermare la valanga jihadista con cui ha una storia personale. Ma c'è un limite alle alleanze spurie, e in questi caso non si può fare a meno di pensare che esse verrebbero pagate con la moneta di un accordo sul nucleare iraniano.

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