Pechino Non capita spesso che il capo di governo in un sistema a partito unico venga messo sotto attacco con una lettera pubblica firmata da 1600 dirigenti di quel partito. Sta succedendo in Cina, e sta succedendo nel partito comunista, che si avvia da qui a ottobre a rinnovare la propria dirigenza, e quindi automaticamente quella del Paese, con la liturgia abitualmente immutabile del congresso nazionale.
Ma questa volta sta succedendo qualcosa di insolito, almeno nelle modalità. C'è malcontento e preoccupazione nella fazione più conservatrice del partito comunista cinese. Alla vigilia del cambio della leadership circa 1600 dirigenti dell'area più estremista del partito comunista insieme ad alcuni intellettuali hanno inviato una lettera al comitato centrale in cui invitano il premier Wen Jiabao a dimettersi. Considerando che i giochi sono già fatti e che il premier sta comunque per terminare il suo mandato, la lettera appare quindi più che altro come un segnale politico, un modo per manifestare un disaccordo interno.
Wen Jiabao non è amato da tutti, non lo è specie dai conservatori, che lo considerano troppo un «riformatore», uno che «sta gradualmente sconfessando l'ideologia comunista che rappresenta il fondamento della repubblica popolare cinese».
Nella lettera i conservatori parlano infatti di «timori di multipartitismo di stampo capitalistico», sottolineando il fatto che Wen in questi anni ha dimostrato di voler incoraggiare le imprese private a scapito di quelle statali. Per i conservatori Wen Jiabao in questi anni ha solo fatto aumentare il divario sociale fra ricchi e poveri. Il timore di questa parte più rigidamente ancorata al passato, ora che lui se ne va, è che le cose continuino allo stesso modo anche con il suo successore designato, Li Keqiang, attuale vice premier.
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