
Settantacinquemila copie esaurite in un giorno e una ristampa di altre duecentomila già annunciata per venerdì. Charlie Hebdo, il più politicamente scorretto dei settimanali satirici francesi, può cantare vittoria: la scelta di lanciare, sei anni dopo un'iniziativa simile che fruttò quattrocentomila copie vendute e un attentato di matrice islamica alla sua sede, un numero incentrato su vignette magari non spiritosissime ma certamente di grande impatto sul profeta dell'islam Maometto ha pagato non solo in termini commerciali, ma anche - a modo suo - sotto il profilo della pubblicità.
Le autorità di Parigi, fedeli alla laicità dello Stato e determinate a difendere la libertà di espressione, hanno evitato qualsiasi censura. Anzi. Il premier Jean-Marc Ayrault ha ricordato che in Francia il diritto alla satira è tutelato, ha proibito sul territorio nazionale ogni manifestazione di protesta di matrice islamica e ha invitato «quanti si sentissero offesi» a rivolgersi eventualmente alla giustizia: quella dei tribunali francesi. E l'invito è già stato raccolto: Charlie Hebdo è stato denunciato da ignoti per «istigazione all'odio».
Al tempo stesso, il governo di Parigi ha deciso di proteggere le proprie rappresentanze all'estero in vista di probabili violenze. Ambasciate e scuole francesi saranno quindi chiuse domani (il venerdì è il giorno della preghiera islamica e spesso le manifestazioni «a difesa della religione» trovano la loro scintilla iniziale in infuocati sermoni nelle moschee) in una ventina di Paesi «sensibili», e in alcuni casi (per esempio in Tunisia, dove il partito islamico Ennahda, al potere, ha esortato i musulmani a manifestare la propria indignazione) la chiusura sarà prorogata di alcuni giorni.
Le precauzioni appaiono fondate. Tra le caricature pubblicate da Charlie Hebdo non mancano allusioni sessuali volutamente pesanti, chiaro riferimento al film «L'innocenza dei musulmani» che dipingeva il profeta dell'islam come un depravato, ma anche alla vicenda delle foto in topless della principessa inglese Kate Middleton pubblicate dal settimanale francese di gossip Closer (e che un altro settimanale che si pubblica in Svezia e in Danimarca ha ristampato a paginate intere, sfidando il divieto preteso e ottenuto dalla Casa reale britannica). Ecco dunque un Maometto nudo a quattro zampe con una stella gialla sul sedere e la beffarda dicitura «Maometto, è nata una stella!», oppure una barbuta «Madame Mahomet» che mostra il seno. L'umorismo è mediocre, mentre è evidente l'intenzione di mettere alla berlina. «Vivo sotto la legge francese, non sotto quella del Corano - ha rimarcato il direttore della rivista Stéphane Charbonnier -. Per me Maometto non è sacro».
Più prudenti sulla questione il ministro francese dell'Interno Manuel Valls, che ha ricevuto ieri i rappresentanti della comunità islamica, e il collega degli Esteri Laurent Fabius, secondo cui la libertà di espressione dovrebbe «essere usata con responsabilità e rispetto» e «non è intelligente gettare benzina sul fuoco in questo contesto». Ma si tratta, come abbiamo visto, di voci complementari rispetto alla linea di difesa del diritto alla satira espressa dal governo.
Da Washington il portavoce della Casa Bianca Jay Carney, impegnato a separare le responsabilità degli Stati Uniti da quelle del produttore del film anti-islamico che tanti guai sta suscitando nel mondo, ha definito «L'innocenza dei musulmani» «disgustoso e riprovevole». Quanto alle vignette pubblicate in Francia, Carney le ha definite «offensive» e pur «non discutendo il diritto di pubblicarle» ha espresso «perplessità sulla decisione di pubblicare certe cose».
Dall'Egitto, intanto, arrivano inquietanti notizie delle torture cui sarebbe sottoposto in carcere Albert Saber, il cristiano copto accusato di aver postato su YouTube i famigerati spezzoni del film «blasfemo contro l'islam». Il giovane nega tutto e ha iniziato uno sciopero della fame.
di Riccardo Pelliccetti
Che lezione. E ci arriva proprio dai cugini francesi, ai quali non sempre guardiamo con simpatia. Eppure questa volta dobbiamo inchinarci di fronte alle parole del loro premier Jean-Marc Ayrault: «Siamo un Paese in cui è garantita la libertà di espressione, compresa la libertà di satira». Chapeau. È una risposta netta alla protesta islamica per le vignette su Maometto pubblicate ieri dal settimanale Charlie Hebdo. Il premier ha ricordato a tutti quelli che si sentono offesi di rivolgersi ai tribunali: è lì che si chiede giustizia. Che lezione. La democrazia non è acqua.
Qui non si tratta di partigianeria politica, ma della difesa di valori universali. Non a caso la parola «libertà» è nel motto ufficiale della Repubblica francese e campeggia sulla loro Costituzione. Ahimé, anche su questo avremmo da imparare, visto che per la nostra Carta, «l'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» e non sulla libertà e l'uguaglianza. Assomiglia più alla costituzione della ex Ddr che a quella di una nazione liberale. Rassegnamoci, è un totem intoccabile.
Ma vi immaginate che cosa sarebbe accaduto in Italia se un giornale avesse pubblicato delle caricature sull'islam? L'indignazione non sarebbe stata solo musulmana, ma di tutto il Paese politicamente corretto, che si sarebbe lasciato travolgere dagli articoli scandalizzati dei soliti maestrini radical chic, i quali avrebbero perorato una legge ad hoc per impedire questo tipo d'intolleranza e xenofobia, magari invocando il carcere o l'esilio per i nemici dell'integrazione e del multiculturalismo. Tutto questo in nome della libertà, naturalmente.
Sono gli stessi maestrini che ieri, non sapendo come commentare la forte posizione del premier francese, hanno definito «paura» la decisione di Parigi di chiudere, nel venerdì di preghiera islamica, le ambasciate e le scuole francesi all'estero per motivi di sicurezza.
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