Cronache

Esuli «gemelli» degli alpini

Profughi giuliano dalmati e penne nere si incontrano a Genova «per trasmettere valori alle giovani generazioni»

Roberta Gallo

Gemellaggio esuli giuliano-dalmati e alpini di Genova. Dopo anni di colloqui e intese organizzative finalmente è arrivato il grande giorno. Stessi ideali, stessi intenti, stessi valori hanno unito per anni i due grandi gruppi riuniti sotto la Lanterna. «Molte sono state in passato le occasioni - spiega Fulvio Mohoratz, presidente Associazione nazionale Venezia Giulia Dalmazia, e alpino doc - in cui i profughi di Fiume, Istria e Dalmazia e gli alpini della Superba si sono trovati fianco a fianco durante celebrazioni, manifestazioni civili e religiose, commemorazioni di fatti d’arme. E spesso - continua - siamo stati riuniti intorno ad una tavola per parlare dei nostri ricordi, della società che ci ricordiamo e che ancora vorremmo, di come coinvolgere i giovani nelle nostre iniziative per tramandare i valori che non devono morire mai». L’idea era partita proprio dall’Angvd che da tempo aveva intessuto cordiali rapporti con le associazioni dell’Arma in generale e con gli Alpini e i Granatieri di Sardegna in particolare. «Ci lega l’amor patrio - afferma Mohoratz - scevro, però da pericolose e farneticanti esaltazioni revansciste». Ciò significa il loro forte attaccamento alla bandiera, alla patria, l’orgoglio di essere italiani. Motivo per cui gli esuli hanno abbandonato le terre date in mano al maresciallo Tito e gli alpini hanno sacrificato le loro vite in guerre senza confini. «Noi non ci sentiamo superiori a nessuno - aggiunge Mohoratz - ma per questo non vogliamo essere trattati da “inferiori”. Entrambi desideriamo dare testimonianza di ciò che siamo e di ciò che abbiamo fatto per la nostra nazione. Teniamo tantissimo alla nostra identità, alle nostre tradizioni, ai nostri canti, ai nostri costumi e ai nostri simboli». La penna nera sta agli alpini come il dialetto e i labari stanno ai fiumani e conterranei.

«Siamo più pacifisti di quelli che scendono in piazza a dimostrare perché noi aborriamo la guerra, una terribile esperienza che abbiamo sperimentato sulla nostra pelle e nella quale abbiamo perso tantissime persone care, siano esse parenti o amici».

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