Eterni indignati, ma solo sulle scemenze

Dalla Gruber alla Perina, certi guardiani del buoncostume si attaccano perfino alle battute insulse per colpire i soliti bersagli: Berlusconi, Vespa o Brunetta. E sulle questioni serie il silenzio dei nuovi moralisti è assordante

Eterni indignati, ma solo sulle scemenze

Con i cervelli ancora in pappa per i bagordi estivi, politici e altri personaggi sparano un’idiozia via l’altra. Non mi riferisco alle solite dichiarazioni politicanti ma proprio ad autentiche sciocchezzuole. Roba innocua che non merita neppure una scrollata di spalle e che suscita invece polemiche roventi come diatribe tra padri conciliari.
L’ultima scemata che ha scatenato i parrucconi è la barzelletta che il Cav ha raccontato ai giovani del Pdl, ramo ex An, nella festa di Atreju. Riassumo: Hitler è ancora vivo e i suoi lo supplicano di tornare al potere; Baffetto cede alle insistenze e dice: «Sì, ma a una condizione: stavolta vi voglio cattivi». Fine. Non fa neanche ridere ma i giovani per compiacenza hanno applaudito. Ovviamente, l’intellighenzia antiberlusconiana è insorta e ha raggiunto l’apice del ridicolo due sere fa nello show Otto e mezzo, pilotato da Lilli Gruber su La7. Lilli ha chiesto ai tre ospiti cosa pensassero dello spirito del Cav. Dallo sguardo fremente della conduttrice si capiva che per lei buttarla a ridere su un tipaccio come Hitler era sacrilego, che c’era stata apologia del nazismo e altre cose così. Si aspettava perciò risposte all’altezza della profanazione. Invece, guardate che è successo. Il leghista Matteo Salvini, con la sua aria da tontolone di paese, ha detto: «Io non l’ho (la barzelletta, ndr) nemmeno capita». «Verme», deve avere pensato Lilli e le sue speranze si sono riversate sull’altro ospite, il mesto sociologo di sinistra, Luca Ricolfi. Costui, faccia disgustata per il livello del dibattito, ha bofonchiato: «Al 90 per cento i politici dicono sciocchezze di cui la stampa non dovrebbe neanche occuparsi. Non meritano il commento». Impeccabile. A Lilli però la mosceria non è andata giù. Folgorato Ricolfi, ha cominciato a elencare le nefandezze del nazismo: «Si parla di un signore (Hitler, ndr) che …». «Appunto. Sciocchezze», ha tagliato corto l’altro. Alla Gruber non è restato che ancorarsi alla terza ospite, la finiana d’acciaio, Flavia Perina. Perina non si è tirata indietro. «Vedo che tocca a me esprimere l’indignazione», ha detto con palese disgusto per i due maschi senza nerbo. Poi, col cipiglio risentito del giornalismo femminile di sinistra - vedi Busi, Ferrario, Botteri- ha stroncato la barzelletta da un originale punto di vista. Il Cav - spiega - ha tirato in ballo Hitler perché era di fronte a una platea di ex an. Ha così dimostrato di considerare cripto fascista quella bella gioventù che invece, nel 2010, si è liberata dell’ideologia e guarda il mondo senza paraocchi. Piccineria disgustosa che conferma l’abisso tra destra moderna finiana e il bauscia di Arcore. Con questo processo periniano alle supposte nefande intenzioni del Berlusca si è conclusa la puntata.
Ditemi voi se bisognava sollevare tanto polverone per una fiacca spiritosata. Ma è tutto così. Più le battute sono insulse e più se ne fa una tragedia. È in corso da settimane il festival dell’ipocrisia. C'è incappato anche quel volpone di Andreotti. Dell’avvocato Ambrosoli, assassinato 30 anni fa da un sicario di Sindona, ha detto: «Se l’è cercata». Non è il massimo, d’accordo. È stata però presa come se lo avesse ucciso una seconda volta. All’ultranovantenne è stata imputata una visione cinica dell’esistenza: chi fa il proprio dovere cerca rogna. Un fraintendimento, con dolo incorporato, che nega la libertà di parola. «Se l’è voluta» è l’espressione che i romani usano per sdrammatizzare le cose più tragiche com’è nel loro carattere. Non significa una presa di distanza. Anzi, è un modo di manifestare ammirazione per uno che, consapevole dei rischi, va avanti lo stesso: sapeva ma non si è fermato. Per un lombardo sarà difficile da capire ma per un romano tipo, amante del quieto vivere e del dovere a metà, è come dire chapeau a uno migliore di lui. Un intercalare come quello dei siciliani quando dicono è stato «giustamente» ucciso (dalla mafia, poniamo) perché la combatteva. In cui il «giustamente» non significa se l’è meritato ma indica la consapevolezza del combattente che mette a repentaglio la vita. Insomma, un po’ di tolleranza linguistica eviterebbe di impiccare il prossimo a una parola facendoci meglio afferrare la sostanza del discorso.
Questo vale anche per il ministro veneto Brunetta secondo cui «se la Calabria e la conurbazione Napoli-Caserta avessero gli stessi standard del resto del Paese, l’Italia sarebbe prima in Europa». Questo perché i due territori sono «un cancro sociale e culturale». Beh, non sarà stato tenero ma in quale altro modo si dovrebbero indicare malaffare e malavita che mettono in ginocchio le popolazioni locali? Il peccato è nelle degenerazioni, non nelle parole che le denunciano. Anche qui, l’assalto a Brunetta è solo un modo per tappargli la bocca e lasciare le cose come stanno. Certo è sommamente invitante fare editoriali spaccacapelli linguistici che contrappongono la spocchia veneta alla dignità offesa dei terroni. Ma è guardare il dito anziché la luna.
Che dire - per raccattare un’altra cianfrusaglia di questi giorni- di Bruno Vespa che accoglie la scrittrice Silvia Avellone dal bel decolté con l’invito al cameraman: «Prego inquadrare!»? Una galanteria da galletto passata però per tronfio maschilismo che riduce la donna a merce. Ma caspita non si può fare neanche l’occhiolino a una bella ragazza solo perché essendo una scrittrice si presume sia anche colta e intelligente? Vespa aveva di fronte una telecamera non i raggi X per ispezionarle il cervello. E poi Avallone non ha trovato niente da ridire. A prendersela per lei sono state altre non richieste che hanno così guastato la festa al conduttore e alla sua ospite. Questa è la vera beceraggine: impedire a due adulti in piena sintonia di comportarsi fra loro come gli pare tra gli applausi del pubblico che gradiva.
Potrei continuare anche con il caso del deputato pdl Stracquadanio secondo cui è lecito fare carriera col proprio corpo. Come dire: la bellezza paga. Banalità vecchia come il cucco. La verità è che la stampa si sofferma per giorni su queste bagatelle (invece di ignorarle come suggerisce Ricolfi) e si ritira invece impaurita di fronte a gaglioffate gravi. Ne cito due. Il regista pd, Placido, criticato dai parenti delle vittime per il film sul pluriomicida Vallanzasca, si è difeso dicendo che in Parlamento c’è chi è peggio del suo bandito.

A Torino, dopo il lancio del candelotto contro il sindacalista Bonanni, i compari no global della lanciatrice hanno sostenuto che di «candelotti non è mai morto nessuno». Dopo 24 ore, entrambe le faccende sono state dimenticate.
Delle due l’una: o la stampa, ciarliera per le inezie, è muta quando il terreno si fa minato; o tace deferente se la magagna è di sinistra. Fate voi.

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