da Milano
Quando nel 2001 lallora ministro allEconomia Giulio Tremonti accusò il governo Amato di aver lasciato un impressionante «buco di bilancio», da sinistra si levarono insulti e pernacchie. E la stampa progressista si divertì a ridicolizzare la performance televisiva di Tremonti a «Porta a Porta», ironizzando sulla bacchetta che indicava le cifre su una lavagna scolastica e sullabito di sartoria napoletana un po ridondante sulle spalle. Tutto drammaticamente vero, i conti in rosso ben sintende. Anzi, a portare lItalia fuori dai parametri virtuosi di Maastricht «non è stato il governo Berlusconi, bensì lultimo governo di centrosinistra guidato da Giuliano Amato». È una delle tante chicche disseminate nel nuovo saggio del sociologo torinese Luca Ricolfi, lanalista di sinistra ritornato in libreria con lo studio «Perché siamo antipatici. La sinistra e il complesso dei migliori» (Longanesi, 14 euro).
«Il Giornale» se nè già occupato nei giorni scorsi, soprattutto nellampia parte che tratteggia gli impietosi vizi di uno schieramento politico incapace di parlare un linguaggio schietto e comprensibile. Ricolfi non si è accontentato di analizzare i problemi di comunicazione, ma si è spinto più in là, fino a smontare i cinque tipici «capi dimputazione» nei confronti dellattuale governo di centrodestra. A cominciare dal funereo slogan «Arrivi a fine mese?», cavalcato dallopposizione per addebitare allesecutivo la presunta picchiata del potere dacquisto. Secondo il professore, Berlusconi non centra nulla. E con un «ragionamento onesto» indica almeno due cause esterne: la congiuntura internazionale e leccessiva presenza di piccoli esercizi commerciali che incide negativamente sui prezzi. «Quando leuro ha sostituito la lira - osserva Ricolfi - il governo Berlusconi era insediato da sei mesi e prendeva il posto di un governo che era stato in carica per cinque anni».
Falsa anche lidea di un «attacco allo Stato sociale», cavallo di battaglia del centrosinistra. Un semplice grafico elaborato dallautore mostra la crescita progressiva di quasi due punti della spesa sociale rispetto al Pil a partire dal 2000 e fino al 2004. E che dire sullo spettro della povertà incombente, evocato dai leader dellUnione come un mantra nefasto? Landamento della «povertà relativa», basata sul confronto tra le spese medie mensili sostenute dalle famiglie per i consumi, dice infatti tuttaltro. E cioè che la povertà aumenta fino al 2000 (governo Amato) per poi «diminuire sistematicamente nei tre anni successivi».
Cè una risposta anche al catastrofismo dei leader dellUnione che hanno accusato il premier di aver «portato lItalia alla decadenza». Soltanto lo scorso dicembre Romano Prodi gridò che «il Paese è da rifare dalle fondamenta». Ricolfi sostiene peraltro che la tesi di un declino del sistema Italia risulta «pienamente confermata» se si lavora su indicatori come prezzi, export e tassi di crescita. Ma ecco la sorpresa. «Il declino stesso - scrive il sociologo - risulta essere iniziato nel 1996, dunque nellanno della vittoria dellUlivo, e non nel 2001, ossia con il ritorno di Berlusconi al governo». Una coincidenza non augurale per il Professore, che si ricandida a guidare il Paese a dieci anni di distanza, anche se linizio della perdita di competitività dellItalia viene attribuita alla fine della svalutazione della lira.
Per Ricolfi le vere colpe del centrodestra sono altre: le cosiddette «leggi ad personam», le nomine negli enti pubblici, il federalismo. Ma alla fine qualche conto antiberlusconiano non torna nemmeno allo stesso docente universitario. Che allora torna a inquadrare nel mirino chi ha avuto il potere per agire, ma non lha fatto. «Furono i governi di centrosinistra a non varare una legge seria sul conflitto di interessi. Fu il governo Prodi a salvare Rete 4 dalla sentenza della Corte costituzionale.
gabriele.barberis@ilgiornale.it
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