Diciamolo subito. Era ora. Era ora che il Parlamento europeo e tutti i vari e soprattutto eventuali uffici che ruotano attorno all’Unione europea, la smettessero di occuparsi del raggio di curvatura delle banane, del diametro dei cetrioli e del fatto che le «camicie da notte» non possono essere indossate di giorno, tutti argomenti a cui sono state dedicate ore e ore di dibattiti, pagine e pagine di saggi e intelligenze su intelligenze di euroburosauri.
Ora, bene o male, tutto questo è archiviato. E finalmente i nostri rappresentanti a Bruxelles e Strasburgo si possono dedicare ai problemi che, davvero, attanagliano le famiglie europee, alle prese con la crisi economica. Soprattutto, a ridosso delle elezioni della prossima primavera, dimostrano l’assoluta infondatezza delle critiche di chi descrive le aule europee come una panchina di lusso per ex leader in disarmo.
Tutte bufale. O, meglio, eurobufale per chi preferisce mettere il prefisso euro davanti a ogni parola, che fa sempre il suo bell’effetto. Sempre che si possa continuare a dire «bufale» al femminile, con una classificazione «di genere» («gender», dicono quelli che parlano bene), che farebbe inorridire gli esteti dell’Europarlamento.
Tutte bufale perché le aule europee dimostrano, per l’ennesima volta, la loro straordinaria capacità di percepire i problemi reali dei cittadini. Magari non saranno prontissimi a recepire le radici cristiane dell’Europa; magari non avranno lo scatto necessario per far sì che il Vecchio continente sia un’«Europa dei popoli» o un’«Europa delle Nazioni» e non un’«Europa dei banchieri con i benefit» o, peggio, un’«Europa dei burocrati». Ma sulle cose serie ci sono. Ci sono sempre.
L’ultima, ad esempio, è rivelata dal Daily Telegraph di ieri. Che spiega di come, in nome del politically correct, non si possa più dire «signora» o «signorina». Di come sia vietato nelle aule del Parlamento parlare di «Miss» e «Mrs». E di come spariscano, tutte d’un colpo, anche «Señora» e «Señorita», senza peraltro specificare se la canzone di Vasco Rossi che si intitola così possa continuare a essere trasmessa dalle radio. Via pure «Frau» e «Fräulein», senza chiarimenti sulla sorte riservata alla «Fräulein», pardon «signorina», pardon come si dice ora, Rottenmeier di Heidi. E poi la rinuncia peggiore, la più dolorosa. Non si può più dire nemmeno «Madame», né «Mademoiselle» e pensate come ci può rimanere Carlà, povera figlia.
Insomma, in nome del politicamente corretto, niente più classificazioni di genere, ma solo neutre. Ne esce a pezzi soprattutto l’inglese: ad esempio, «sportsmen» non si può più dire perché contiene quel terribile suffisso maschile («men»). Verrà sostituito dal neutro «athletes». Allo stesso modo «statesmen» verrà sostituito da «political leaders» e così via per tutti gli altri, da policeman in giù. Anzi, probabilmente, più che l’inglese ne esce a pezzi soprattutto la logica. Nessun «policeman» o come diavolo si chiama ora potrà arrestare la stupidità di certe scelte. Anche perché a me hanno sempre insegnato che «signora» o «signorina» davanti, che so, al nome della maestra, era fondamentalmente una questione di buona educazione, non certo qualcosa di offensivo. E va be’ che oggi va più di moda direttamente il «tu» e magari il nome di battesimo della maestra. Ma, insomma, codificarlo addirittura con apposita regolamentazione e bollini Ue, mi sembra troppo.
Ridevamo, giustamente, perché il fascismo - contro la perfida Albione e i suoi alleati - cancellò persino box e garage, trasformandoli in autarchiche autorimesse. Ma questi, se possibile, fanno ancora peggio. In nome della democrazia. E magari pure dell’antifascismo.
La prima volta è tragedia, la seconda è farsa. Appunto.
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