Europa in campo contro i prodotti dannosi

Si è riunita ieri a Strasburgo, per la prima volta, la nuova Commissione parlamentare europea sul cambiamento climatico, la cui formazione è stata voluta e approvata dal Parlamento Ue nei giorni scorsi. I sessanta componenti, di cui otto italiani, avranno il compito di sensibilizzare i cittadini e i governi di quegli Stati ancora riluttanti a sottoscrivere impegni. Impegni che si devono concretizzare sia nell’azione congiunta dei vari governi ad applicare le direttive, sia nel rispetto di cittadini e aziende di regolamenti e normative.
Già qualcosa si era mosso nel 2002 quando il Parlamento europeo aveva approvato la Direttiva sui rifiuti e sulle apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee), secondo cui ogni Stato dell’Unione aveva 18 mesi di tempo per introdurre a livello nazionale provvedimenti d’attuazione per il recupero, la raccolta e il riciclaggio dei rifiuti tecnologici. Questo per far fronte sia all’inquinamento causato da tali prodotti, chiamati «orfani», finiti in discarica, sia per recuperare risorse preziose. I prodotti tecnologici, infatti, oltre a essere pericolosi perché contengono materiali tossici, potrebbero essere in gran parte riutilizzati mentre per il 75% vengono accantonati o buttati.
Elettrodomestici e giocattoli sono gli articoli più pericolosi sia per il pianeta sia per al salute dell’uomo, dei bambini in particolare. Lo sostiene l’ultimo rapporto Rapex dell’Ue, la relazione che mette in guardia i consumatori dai prodotti più pericolosi per la salute e la sicurezza personale. Anche se i dati tanta tranquillità non la garantiscono completamente: nel 2006 gli oggetti a rischio ritirati dai mercati europei sono stati 926, mentre nel 2005 ammontavano a 701, con una crescita del 32 per cento. Buona parte di questi viene dalla Cina. Il Paese della Muraglia sembra essere anche la pecora nera dell’ecosostenibilità visto che, secondo le previsioni dell’Agenzia internazionale dell’energia (un istituto parigino che monitora i problemi energetici mondiali e che rilascia i suoi dati a 26 Paesi industrializzati) nel 2008 il colosso dagli occhi a mandorla dovrebbe superare per emissioni di anidride carbonica persino gli Stati Uniti, anticipando il sorpasso che era previsto per 2010. In Cina, infatti, viene in media attivata una centrale a carbone a settimana.

Un triste record, quello cinese, dovuto a una crescita incontrollata della sua economia e della ricchezza prodotta (circa il 10% annuo) e che rischia di azzerare tutti gli sforzi che l’Onu sta compiendo per ridurre i danni all’ambiente provocati dai Paesi industrializzati.

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