Europa, l’autogol che spaventa gli agricoltori francesi

Gli inglesi vanno all’attacco: «Basta dare il 40% delle risorse per le esigenze del 2% della popolazione»

Alberto Toscano

da Parigi

Basta un’occhiata alla mappa elettorale francese del 29 maggio, data in cui si è svolto il referendum sul Trattato costituzionale europeo, per rendersi conto della spaccatura: le zone in cui l’economia «tira» hanno votato a favore del sì, mentre quelle rurali e quelle in crisi hanno fatto pendere la bilancia dalla parte del no. Adesso che i buoi sono scappati, gli allevatori e gli agricoltori francesi si precipitano a chiudere la porta della stalla. «Nessun mutamento alla Politica agricola comunitaria, Pac, può essere tollerato dal presidente della Repubblica Jacques Chirac», dichiara Jean-Michel Lemetayer, presidente della potentissima Fnsea, la federazione degli agricoltori transalpini. I suoi seguaci, intervistati dalle varie stazioni radio e tv, ripetono in continuazione questo concetto in un misto di rabbia e di preoccupazione. «Sulla questione del bilancio europeo per l’agricoltura la Francia deve assolutamente tener duro, senza cedere neppure un euro», strilla Bernard Layre, presidente dei «giovani agricoltori». Persino gli avversari più duri del Trattato costituzionale europeo si accorgono che su questo terreno la Francia ha bisogno dell’Europa.
Lo scenario è completamente cambiato rispetto al 29 maggio, quando la stragrande maggioranza degli allevatori transalpini ha sbattuto la porta in faccia all’Unione. Allora prevaleva la voglia di rivolta. Adesso è la paura a farla da padrona. La frase di Tony Blair ha lasciato il segno: «L’Unione europea - ha detto il premier britannico - spende il 40 per cento delle proprie risorse per finanziare la Pac, che riguarda il 2 per cento della popolazione». Pazienza se quel 2 per cento fosse almeno riconoscente all’Europa. Ma gli agricoltori francesi hanno l’abitudine di prendere a botte la loro immensa vacca da latte, ossia la Pac. Un atto di violenza metaforica che va talvolta di pari passo con le aggressioni - molto concrete - ai camion «colpevoli» di trasportare in Francia prodotti agricoli italiani e spagnoli.
Su un punto gli agricoltori transalpini si accorgono oggi d’aver completamente sbagliato i propri calcoli. Credevano che prendere a calci l’Europa sarebbe stato utile a ottenere di più dalle sue generose mammelle. Poi hanno capito che il no francese ha diminuito il peso e l’influenza di Parigi nel contesto comunitario. Così le invettive di Tony Blair contro la Pac hanno trovato orecchie pronte ad ascoltarle. Al tempo stesso i nuovi membri dell’Unione hanno cominciato a guardare a loro volta in cagnesco la Francia, accusandola di fare man bassa dei fondi della Pac, di cui è di gran lunga la principale beneficiaria.
Se il 29 maggio in Francia avesse vinto il sì, oggi uno Chirac rilanciato potrebbe sbarazzarsi senza fatica delle aspre accuse britanniche. Ma la vittoria del no ha stritolato politicamente Chirac, che è sempre stato paladino degli interessi del mondo rurale francese. Chirac è stato eletto per decenni in Parlamento nella regione del Limosino, famosa per i propri vitelli. Quando, negli anni Novanta, la svalutazione della lira creò difficoltà all’export di vitelli francesi verso l’Italia, il presidente Chirac scese in campo anima e corpo allo scopo di ottenere un riequilibrio monetario favorevole agli interessi dei suoi amati allevatori del Limosino (in compagnia dei quali adora mangiare uno dei suoi piatti preferiti: la testina di vitello).


Lo scorso marzo Chirac è andato a inaugurare a Parigi, alla Porte de Versailles, il Salone dell’agricoltura. Un esagitato espositore ha lanciato urla contro l’Europa. Chirac gli ha detto: «Votare no il 29 maggio sarebbe per voi un’enorme coglionata. Sarebbe come spararsi nei piedi!».

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