Europa, radici cristiane e Ppe: il monito di Andreotti e Aznar

Tra gli scontati auguri al centrodestra italiano con tanto di ripicca al socialista Schulz che aveva sconsigliato l’appuntamento romano e la conferma (anche qui da mettere in conto), che c’è ancora qualche resistenza ad accogliere An tra i moderati europei, si sono persi nelle cronache del congresso del Ppe un paio di «allarmi» lanciati nel dibattito da due personaggi di un certo spessore nella famiglia popolare: Giulio Andreotti e José Maria Aznar.
L’ex presidente del Consiglio italiano si è presentato alla platea con un breve ma pungente intervento che ha scaldato abbastanza i presenti e che non può certo richiamarsi nell’elenco di ordinarie e pacate considerazioni. Che ha detto Andreotti? Che se è vero che nel Ppe non esiste un esplicito richiamo alle radici religiose, perché si preferì la scia di Benedetto Croce per il quale «non possiano non dirci cristiani» senza necessariamente metterlo nero su bianco, è altrettanto vero che «per i cristiani il rischio di emarginazione a questo punto esiste e s’aggrava». «Attraversiamo una fase culturale difficile - ha spiegato - quella di una nuova eresia in base alla quale la modernità rifiuta le regole». Andreotti ha esortato i cristiani ad uscire dal guscio, a far sentire la loro voce per «denunciare tutte le forme di anticlericalismo che vogliono rendere grigio l’orizzonte politico».
Un richiamo molto secco, il suo. E abbastanza inusuale per chi da anni e anni era sempre stato molto attento a dividere gli interessi della politica da quelli religiosi. Sintomo che la misura è colma. Molti gli applausi convinti dei congressisti. Peccato che nelle cronache, almeno quelle italiane, non se ne sia fatto alcun cenno. Ma va da sé che il tema - che fin qui il Ppe aveva abbozzato, ma senza impegnarcisi troppo - è stato rilanciato (e ripreso anche da altri) per cui non è improbabile che nei mesi a venire tra i Popolari possa riprendere una più attenta considerazione per le questioni etiche, fino a ieri lasciate un po’ ad iniziative personali.
Anche Aznar non è stato da meno nel porre crudamente alcuni problemi sul piatto. L’ex-premier spagnolo, che nel Ppe gode di grande stima, ha tenuto a chiarire innanzitutto che se il nemico numero uno dell’Europa e del Ppe «è il terrorismo», bisogna innanzitutto farsi le idee chiare sul «cosa difendiamo» per potercisi opporre con successo. Torna insomma il discorso delle radici - che anche Andreotti ha di fatto evocato - ma accanto a ciò Aznar ha chiesto un dibattito serio e prese di posizione su 5 temi che a suo modo di vedere condizionano e non di poco lo scenario europeo. Per lui occorre innanzitutto il «rispetto del patto di stabilità». Si potrà rivederlo o modificarlo, ma nell’attuale congiuntura e col consolidamento dell’euro è assolutamente necessario che i Paesi siano vincolati nelle politiche di spesa. Ancora, ha chiesto al Ppe una parola chiara sul «multiculturalismo» che a suo dire semina disastri e ghettizzazione. Ha poi rilevato come occorre ridotare la Ue di un «motore» capace di trascinare tutti i 25 sulla via dello sviluppo e ha puntato un indice contro chi ritiene che il problema sia quello istituzionale, tenendo a precisare come quel che serve «è una soluzione ai problemi concreti che i cittadini si pongono» mentre un ripescaggio della Costituzione già bocciata in due Paesi «altro non sarebbe che un imbroglio». Ma poi, ancora e più decisamente, Aznar ha chiesto «dove per il Ppe finisca l’Europa».

«Impossibile e non desiderabile prolungarla all’infinito», ha detto.
Due interventi ignorati, quelli di Andreotti e Aznar. Ma che nelle vicende del Ppe sono da tenere d’occhio, come un seme che potrebbe crescere in un domani non lontano.

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