La paura che accada qualcosa non finisce mai. Non se ne va con il reverendo Terry Jones che si sgonfia, si neutralizza e rende manifesto al mondo di essere un ciarlatano con manie di protagonismo. Il terrore resta a inquietare le nostre coscienze e anche le nostre giornate. Come un’esplosione che rimbomba, come una sirena che parte, come un aereo che entra in un grattacielo. L’incubo che l’11 settembre non sia mai finito, che nelle proporzioni magari non si possa verificare più, ma nelle dinamiche sì.
Nove anni dopo, la retorica della commemorazione viene interrotta dall’allarme aumentato, dalle informazioni che alcuni governi hanno: Al Qaida e altri gruppi estremisti islamici possono colpire. Forse sono già pronti a farlo. Quando? Anche presto. Dove? Non lo sa nessuno. Siamo tutti possibili obiettivi: Italia, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Stati Uniti. Ogni città. E dentro ogni città qualunque via, metropolitana, stazione, bus. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, dice che «esiste il rischio di un ritorno a iniziative di terrorismo che tengono sempre alta la nostra attenzione. La Francia ha già innalzato il livello di sicurezza, e l’Italia ha la più alta attenzione nei confronti di un rischio che dall’11 settembre aleggia sempre»
Maroni parla della Francia e dalla Francia arriva forse la notizia più dura del nono anniversario dell’11 settembre. Arriva attraverso le parole di Bernard Squarcini, capo dell’antiterrorismo francese: «La minaccia di attentati terroristici non è mai stata così elevata». Per Squarcini la principale fonte di preoccupazione è l’Aqmi, il braccio di Al Qaida nel Maghreb islamico, che circa un mese fa ha già ucciso un ostaggio francese, Michel Germaneau, e che ora potrebbe agire sul territorio francese. «Oggi siamo allo stesso livello di minaccia del 1995», anno segnato da un’ondata di attentati in Francia.
È così anche altrove. Perché la minaccia non s’è mai fermata: sale e scende, tocca picchi verso l’alto e raramente verso il basso. I governi si attrezzano, poi pregano: col terrorismo qaidista non è detto che le precauzioni e l’intelligence siano sufficienti. La frammentazione dei gruppi estremisti, la diffusione di cellule che nascono anche in una casa, in uno scantinato, senza magari un’indicazione dall’alto, ma al contrario con una spinta che proviene dal basso: abbiamo letto tanto del pericolo del terrorismo islamista. Sappiamo più di quanto abbiamo saputo di ogni altro pericolo. Eppure siamo costantemente inermi: viviamo nella impossibilità di trovare una contromisura, di metterci al riparo. Per farlo dovremmo praticamente decidere di smettere di vivere, il che sarebbe comunque scegliere di morire. Perché chi si arrende di fronte a una minaccia potenziale, anche se la più grave e forte di sempre, non fa altro che alimentare quella stessa minaccia: rende i terroristi più forti di quello che sono.
I governi mettono le mani avanti. Lo fa l’Italia, lo fanno gli altri: è comprensibile, perché è un modo per preparare psicologicamente un Paese a un eventuale attentato. La situazione in Afghanistan, le tensioni provocate dall’Iran, le fughe in avanti di tipi alla Terry Jones: tutto contribuisce a mantenere alto l’allarme, cioè la paura che qualcuno anche da solo, oppure organizzato, pensi che farsi saltare in aria in un teatro o in una stazione, sia il modo migliore di presentarsi di fronte al suo Dio per essere beatificato.
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