Qatargate

La manina degli Emirati arabi all'origine del Qatargate

Una faida tra Paesi dietro la genesi dello scandalo che scuote l'Ue? L'ipotesi rilanciata da un sito americano

La manina degli Emirati arabi all'origine del Qatargate

Una faida tra paesi arabi, un regolamento di conti per conquistare una posizione privilegiata nei rapporti con l'Europa. Mentre quattro protagonisti del Qatargate si preparano a passare San Silvestro nelle carceri belghe in cui sono rinchiusi dall'8 dicembre, sulla genesi dell'inchiesta che ha terremotato l'Europarlamento - e in particolare il gruppone della sinistra, i Socialisti & Democratici - si affastellano ipotesi.

Che partono da un dato di fatto: i primi a muoversi in Belgio sulle tracce di Antonio Panzeri, ex deputato del Pd, sono i servizi segreti locali. Secondo dato di fatto: i problemi che l'inchiesta sta creando al governo del Qatar, che rischia di vedere andare in fumo anni di manovre e di tangenti per ingraziarsi la Ue, vengono visti con soddisfazione dai paesi del Golfo rivali del Qatar, con in testa gli Emirati Arabi Uniti.
Protagonisti a loro volta di anni di lobbing intensivo nei corridoi dell'Europarlamento per accreditarsi come l'interlocutore più affidabile.
C'è la mano del governo di Abu Dhabi nell'esplosione dello scandalo? A sollevare la domanda era stato qualche giorno fa il sito Dagospia. Ieri il tema viene rilanciato e approfondito dal sito di informazione statunitense Nyweekly.com, che chiama in causa direttamente Tahnoon bin Zayed Al Nahyan, fratello del presidente degli Emirati e capo dei servizi segreti locali. Il sito ricostruisce con dovizia di nomi i contatti che il capo degli 007 di Abu Dhabi avrebbe creato sia in America che in Europa, mettendo in relazione questa rete con alcune operazioni mirate contro il Qatar e accusando Abu Dhabi di avere orchestrato lo scandalo per distogliere da accertamenti che a Bruxelles venivano compiuti sulle attività dei lobbisti al soldo proprio degli Emirati.

La caccia al «mandante» non mette in discussione la gravità di quanto - a partire dai sacchi pieni di soldi - sta emergendo a carico di Panzeri e della rete che ruotava intorno a lui, ma aiuterebbe forse a inquadrare meglio la vicenda.
Anche per capire se la cricca di Panzeri fosse l'unica a muoversi nei corridoi dell'Europarlamento in violazione di ogni regola, o se altre lobby occulte fossero (e magari siano ancora) attive al soldo di altri paesi.

Tra le coincidenze a sostegno dell'ipotesi, c'è il ruolo svolto dall'altra Ong coinvolta nell'inchiesta, No Peace without Justice, fondata dalla radicale italiana Emma Bonino.

Il segretario generale dell'Ong, Niccolò Figà Talamanca, è stato arrestato contemporaneamente a Panzeri e agli altri, e due giorni fa il tribunale belga ha prolungato la sua custodia in carcere. Di cosa sia accusato esattamente l'uomo non si sa, il suo nome non compare nelle carte a carico di Panzeri, e la sua Ong - a differenza di quella dell'ex sindacalista italiano - appare registrata nell'albo della trasparenza dell'Europarlamento.
Ma negli ambienti di Bruxelles veniva fatto notare come nel giugno scorso un duro rapporto sulle manovre degli Emirati per influenzare le decisioni comunitarie, realizzato dalla Ong Droit au Droit, sia stato presentato da Nicola Giovannini, che lavorava insieme a Figà Talamanca a No Peace without Justice. Nelle 150 pagine del rapporto si analizzavano in dettaglio le campane di disinformazione attraverso i media, i rapporti ufficiali e paralleli coni partiti, i parlamenti, i think tanks realizzati dalla lobby degli Emirati. A pochi mesi di distanza, sulla Ong che ha presentato il rapporto si abbatte l'inchiesta partorita dai servizi segreti belgi su «dritta» dei servizi di Abu Dhabi.

Più che una ritorsione, un modo per sviare l'attenzione? Un altro dei tanti misteri del Qatargate.

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