Evans, il canguro "italiano" vince il Tour

L'impresa a Grenoble. Show nella cronometro e maglia gialla. L’australiano cresciuto nel Varesotto cancella l’etichetta del simpatico perdente. Su di lui mai un sospetto di doping. Forte in discesa e in salita. Cunego e Basso 7° e 8° posto finali: nuove bocciature

Evans, il canguro "italiano" vince il Tour

Anche l’Australia si ubriaca di bollicine francesi: per la prima volta nella storia, un canguro salta sul gradino più alto del Tour. Correndo la più bella cronometro della carriera, Cadel Evans umilia Andy Schleck e centra a 34 anni il sogno inseguito da una vita intera. Doveva rimontare 57”, ne rimonta 2’31”: una bancata memorabile. Per soli 7” gli sfugge il successo di tappa, che va al giovane Martin, ma questo è solo uno stupidissimo dettaglio. Nella memoria resterà l’evento romanzesco di un campione e di un continente che si portano nell’altro emisfero la sfida più importante del mondo.
E in quale maniera. Evans non vince un Tour rubacchiato o fortunoso. Lungo i Campi Elisi, quest’oggi, davvero sfilerà in parata il campione più completo del gruppo.

Evans è andato fortissimo nelle tappe nervose, giocandosi in sprint ristretti preziose manciate di secondi. Evans è andato fortissimo in discesa, resistendo e contrattaccando ai folli assalti del disperato Contador. Evans è andato fortissimo in salita, soprattutto nelle due tappe alpine, costretto dalle circostanze di gara (Schleck sul Galibier) e dagli incidenti meccanici (Alpe d’Huez) a inventarsi monumentali rincorse in prima persona. Infine, l’ultimo giorno, Evans è andato fortissimo a cronometro, in quella cronometro che ancora una volta si rivela decisiva nel Tour de France, a dimostrazione di come gli inadatti alla specialità siano tagliati fuori già in partenza. No crono, no Tour: questa la solenne verità di sempre.

Ne sa qualcosa Andy Schleck, che proprio per il suo cronohandicap finisce mestamente secondo per il terzo anno consecutivo. In questo senso, si chiude qui anche l’imbarazzante derby tra lui e Evans per capire chi sia l’eterno secondo della nuova epoca: rompendo il sortilegio a Grenoble, Evans ricaccia in gola a tutti l’etichetta del simpatico perdente, peraltro già scalfita vincendo un titolo mondiale due anni fa. La pesante nomea resta a pieno titolo sulle spalle del giovane Schleck, che con il fratellone Frank - terzo - farà soltanto da paggio in una cerimonia parigina immaginata ben diversamente, soprattutto dopo l’impresa sul Galibier (questa sua vittoria con sessanta chilometri di fuga resta comunque la vera gemma dell’intera edizione 2011).

Tutto è finalmente più chiaro: tante scuse a Evans, che non sarà mai più eterno secondo, e tanti auguri a Andy, che alla sua giovane età può legittimamente sperare, come secondo, di non restare eterno. Però gli deve essere chiaro l’amaro destino: se continua a rullare così piano nelle crono, al Tour troverà sempre uno specialista come Contador (negli ultimi due anni) o come Evans che lo condannerà inevitabilmente alla dannazione. Tutto sommato, forse gli converrebbe venire in Italia a vincere il Giro, che notoriamente premia più lo scalatore del cronoman. Ma questa in fondo è divagazione.

Nel giorno di una nuova mestizia italiana - settimo e ottavo posto finali, sai che roba, con Basso battuto a cronometro da Cunego, che come cronoman è un lumacone -, nel giorno di questa nuova e pesante bocciatura internazionale, noi di questo Paese non possiamo non essere lieti per Evans. Nelle sue vene non scorre sangue italiano, ma nella sua testa circolano tanti pensieri, tanti ricordi, tanto sapere di stampo italiano. Cresciuto nel glorioso team Mapei di Squinzi, sposato a una giovane pianista del Varesotto, Cadel ha costruito questi suoi successi al fianco di Aldo Sassi, il preparatore del Centro Mapei morto di cancro pochi mesi fa, credendo ciecamente fino all’ultimo in uno sport onesto e pulito. Ecco, Evans detiene pure questo bel pregio personale: a 34 anni, non ha all’attivo, anzi al passivo, un solo episodio, che dico episodio, un solo sospetto o una sola diceria nella scabrosa storia del doping. È una credenziale grandiosa, diciamolo a voce alta.

Evans è il prodotto del lavoro, ma soprattutto della perseveranza. Sì, di questa dote antica come l’uomo, ultimamente sempre meno praticata, nel mondo del tutto e subito.

Prima di arrivare al titolo iridato e alla maglia gialla, Evans ha sopportato e valorosamente superato un lunga serie di prove carogna, risalendo sempre controcorrente, come un cocciuto salmone della vita. Quando tutti i sapienti d’oggi avevano già pronto il titolo giusto per lui - simpatico perdente, eterno secondo - eccolo arrivare di slancio alla meta. Il salmone lo sa, l’importante è perseverare.

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