Evasione, chiesto il processo per Dolce e Gabbana

È la carica dei 150. Tanti sono gli amministratori di società pubbliche - o private ma strategicamente legate alle politiche di Stato - che andranno rinnovati nella primavera dell’anno prossimo. Un esercito di amministratori delegati, presidenti, consiglieri e sindaci in scadenza, calcolati contando i posti nei cda in scadenza, più quelli delle società controllate maggiormente significative. Centocinquanta caselline che costituiscono il tema economico-finanziario numero uno nell’agenda della politica alla vigilia di una fase che potrebbe portare alla crisi dell’attuale governo. Le scelte su questo spaccato determinante della Corporate Italia ricadrebbero entro i confini dell’attuale legislatura. Ma, in caso di governo tecnico o di elezioni, il destino cambierà improvvisamente. Questo è il tema economico e finanziario principale in rapporto alla crisi politica: chi dovesse governare il Paese tra marzo e giugno del 2011 avrebbe un bel po’ di margine su cui operare. E anche un bel po’ di posti, posticini e strapuntini da distribuire. La partita si giocherà in quei mesi, prima del termine della presentazione delle liste che devono essere pronte un mese in anticipo rispetto alle assemblee, per lo più in agenda a fine giugno.
Di che si tratta? Di Poste Italiane, Eni, Enel, Finmeccanica, Terna, Telecom Italia, Edison. A cui si sommano le controllate di gruppo: diverse spa tra cui, per esempio, alcune quotate in Borsa come Ansaldo Sts o Saipem, e diverse anche non quotate. Parliamo di qualcosa pari a un terzo della capitalizzazione della Borsa italiana, o del 15% del Pil, da cui dipendono quasi mezzo milione di dipendenti su tutto il territorio nazionale. Un potere enorme potrebbe passare di mano, secondo logiche al momento imprevedibili.
Solo le Poste rappresentano un gruppo di 155mila lavoratori, distribuiti in oltre 14mila sportelli (si pensi che l’intero sistema bancario ne ha 26mila). Un blocco sociale e senz’altro politico, di enorme rilievo, dunque. Che l’attuale gestione è riuscito a tenere in piedi senza pesanti politiche occupazionali. L’ad Massimo Sarmi, manager di estrazione «finiana», guida un cda di 5 membri, più tre sindaci. É l’artefice della ristrutturazione del gruppo, da 9 anni in sella, pronto per il quarto mandato. Nel tempo la sua vicinanza a Fini si è diluita con frequentazioni e apprezzamenti trasversali. Di certo si tratta di una posizione chiave, da cui dipenderà anche buona parte della sorte della Banca del Mezzogiorno, tanto cara a Tremonti, di cui Poste è capofila strategico, e la politica di concorrenza al sistema del credito, fatta da Bancoposta.
Con Eni, Enel e Terna si entra nel settore dell’energia, altro perno delle politiche di sviluppo nazionali. Si pensi alla guerra europea del gas, che il ceo di Eni (nel suo cda 9 consiglieri in scadenza, più 5 sindaci), Paolo Scaroni, con il pieno appoggio del governo Berlusconi, ha condotto in maniera innovativa sul fronte orientale e mediterraneo, sull’asse Italia-Russia-Libia. Non senza suscitare qualche apprensione al di là dell’Atlantico. C’è poi la partita del nucleare, altro pilastro energetico fortemente voluto dall’attuale governo, che oggi sta nelle mani dell’ad di Enel (altri 9 consiglieri, con 3 sindaci) Fulvio Conti, e che andrà messo in piedi proprio con il prossimo mandato. Per non parlare delle energie rinnovabili, e di quelle tradizionali. E del futuro della rete, gestita da Terna (9+3), società guidata da un manager vicino al centro-destra, Flavio Cattaneo, la cui abilità ne ha fatto un candidato pronto a giocare un ruolo importante nella partita delle nomine: la vulgata lo vedrebbe all’Enel, con Conti che passerebbe all’Eni.
C’è poi la partita Finmeccanica, influenzata dalle vicende giudiziarie di questi mesi. Il suo presidente e ad, Pierfrancesco Guarguaglini, lotta per un rinnovo non facile. E dal futuro assetto di Finmeccanica dipende l’intera filiera dell’aeronautica, civile e militare, italiana. Selex, Agusta Westland, Alenia Aeronautica sono le controllate da cui dipendono altre milionarie commesse del gruppo, rilanciato proprio da Guarguaglini fino a farne, anche attraverso grandi acquisizioni come la Drs negli Usa, uno dei grandi player internazionali. Va da sé che il groviglio di interessi nazionali è di prim’ordine, nella partita Finmeccanica, società che in tandem con l’Eni contribuisce a impostare la stessa politica estera italiana.
Ci sono anche società non pubbliche i cui destini dipenderanno comunque da eventuali nuovi assetti di governo. Telecom, per esempio, con un cda di 15 membri in scadenza: controllata dal pool Generali-Mediobanca-Intesa, la società di tlc che controlla la rete è guidata da Franco Bernabé. Da Telecom dipende, tra l’altro, il destino del terzo polo tivù di La7, che con il Tg di Mentana ha trovato un nuovo peso politico. Oltre al pool finanziario di cui sopra, una quota rilevante è detenuta dagli spagnoli di Telefonica. Per questo il rinnovo o meno di Bernabè significa anche decidere a quale manager affidare il futuro della rete e della stessa proprietà di un gruppo che dà lavoro a 73mila dipendenti: una scelta che i grandi soci prenderanno autonomamente, ma sarebbe irreale pensare che i destini di Telecom non dipendano anche dall’inquilino di Palazzo Chigi e dai suoi rapporti con la grande finanza e, dunque, la coppia Cesare Geronzi e Giovanni Bazoli.


Discorso in parte analogo anche per Edison (13 membri in cda), società attiva nell’energia e con un ruolo nel nucleare venturo, il cui assetto dipende dal rapporto con il socio Edf, partecipato dallo Stato francese e dunque coinvolto nelle complesse partite bilaterali tra Roma e Parigi (come per esempio l’Alitalia).

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