Tra ex Forza Italia e An il rapporto è sempre 70 a 30

RomaPassata l’euforia, smaltita la sbornia, eliminata qualsiasi scoria polemica della vigilia, anche il Pdl ha cominciato a fare due conti sulle elezioni Regionali. Una «prima uscita» del Popolo della libertà in questo tipo di competizione finita con un trionfo, nel quale è facile scorgere la conferma degli stessi equilibri interni tra le due componenti che hanno dato vita al Pdl: Forza Italia e Alleanza nazionale. Il successo della Lega Nord, d’altro canto, non ha determinato una grave flessione dei consensi al Nord del Pdl, se non quella «fisiologica» in Veneto e Piemonte, dove il candidato proposto era un leghista. Una cosa è certa, l’equilibrio di forze tra ex Forza Italia e ex An è stabile.
Le analisi sui flussi del voto presentano anzitutto un aumento degli eletti nelle 13 Regioni: si è passati da 206 consiglieri a 235. Volendo andare a verificare le provenienze precedenti degli eletti, quelli di Forza Italia sono passati dal 68,4 per cento al 67,2 per cento; quelli di An dal 31,5 per cento al 32,8. Ma il dato percentuale tradisce la realtà concreta, perché il numero di eletti ex forzisti passa da 141 a 158, mentre quello degli ex aennini da 65 a 77. Come si vede, l’incremento è quasi pari e sembra rispettare, grosso modo, anche la proporzione tra le due componenti a livello nazionale. Il lieve scostamento della percentuale riguardante Forza Italia in favore di candidati già An (si tratta di 3 consiglieri in più, pari a un 1,3 per cento) è da ritenersi «fisiologico». Anche perché, spiegano gli esperti, nel conteggio vanno considerate l’abolizione di alcuni listini bloccati (per esempio, Calabria e Campania), la mancanza della lista Pdl nella provincia di Roma (che avrebbe accresciuto il numero di entrambi, ma in proporzione), la diminuzione del numero di alcuni consigli regionali.
Fin qui la fredda logica dei numeri. Ciò che però viene valutato con «grande soddisfazione» è stata la capacità della nuova formazione di presentarsi a una prova amministrativa di tale rilievo conservando intatta la coesione interna tra le componenti. Esito non del tutto scontato, considerate alcune realtà del Sud e del Nord, nelle quali il radicamento di ciascuno dei due partiti - Forza Italia e An - era maggiormente sedimentato. Altro elemento di vitale importanza, anche se esula dall’analisi dei flussi interni al Pdl, sta nella ormai compiuta «identificazione» del «popolo della libertà» in un unico organismo, capace persino di non disperdersi nel sostegno a un candidato «alleato» in una realtà difficile, quale era il caso di Roberto Cota in Piemonte. Differentemente dalla realtà veneta, infatti, nella quale il peso e la storia della Lega Nord erano tali da non mettere in discussione il convinto sostegno degli elettori pdl, in Piemonte ci si trovava in una Regione di «centrosinistra», nella quale la «vischiosità» del sistema di potere avrebbe potuto convincere molti elettori a non scegliere per il leghista Cota.

Tanto più con l’Udc scesa in campo per sottolineare il netto dissenso di settori moderati per la decisione di presentare un candidato leghista. Eppure la fusione delle due anime del Popolo della libertà ha consentito non solo la vittoria, ma anche un ottimo risultato di lista.

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