Ex An, leghisti e Di Pietro: tutti vogliono la testa di Fini

RomaFini è riuscito nell’impresa: far nascere il terzo polo. Un polo, però, che adesso chiede che si alzi dalla poltrona più alta di Montecitorio. Nelle ultime ore è sbocciata un’inedita convergenza, politicamente trasversalissima, che vede insieme Berlusconi, pidiellini ex forzisti, la maggior parte dei pidiellini ex An, la Lega e persino l’Italia dei valori. Gli unici a non unirsi: Casini e D’Alema. Il miracolo finiano parla francese perché è soprattutto il pasticciaccio della casa di Montecarlo a mettere insieme il Cavaliere e Di Pietro con la benedizione del leghista Bobo Maroni. Il coro di chi chiede le dimissioni del presidente della Camera si gonfia.
In realtà il premier non ha mai chiesto che il presidente della Camera lasciasse la sua poltrona per l’affaire monegasco. Lo ha fatto, certo, ma soltanto per questioni politiche. Il 29 luglio 2010, riunito l’ufficio di presidenza del Pdl, ha lamentato il continuo e devastante dissenso di Fini e quindi ne ha sottolineato il «venir meno della fiducia nei confronti del ruolo di garanzia, indicato dalla maggioranza che ha vinto le elezioni». Poi è scoppiato il caso Montecarlo su quella casa finita non si sa perché nelle mani di Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta, compagna di Fini. A scissione dei futuristi avvenuta, sebbene i toni si siano inevitabilmente impennati, Berlusconi non ha mai ufficialmente cavalcato la nostra inchiesta chiedendo il passo indietro di Fini. Fedele a un garantismo che invece l’ex leader di An pare abbia perso per strada.
A chiedere la testa di Fini ci ha pensato niente meno che il leader dell’Italia dei valori: «Se il compratore della casa fosse Tulliani o se Fini non fosse in grado di spiegare tutto - ammette Di Pietro - la prima cosa da fare sarebbe dimettersi da presidente della Camera». E poi l’ammissione che Giornale e Libero stanno facendo il loro mestiere e non, come invece pensano Casini e D’Alema, «squadrismo intimidatorio». E ancora: «I due quotidiani hanno raccontato fatti finora incontestabili e Fini per uscirne può fare solo una cosa: portare i documenti all’opinione pubblica prima che lo faccia la magistratura». Peggio: «Il silenzio di Fini è inaccettabile è come mettere il bavaglio all’informazione».
Anche il leghista Maroni segue con attenzione gli sviluppi della vicenda e dà giudizi sulle mosse politiche di Fini: «Il presidente della Camera non ha perso la fiducia di Berlusconi ma di chi l’ha eletto a Montecitorio. Io, se avessi dubbi o capissi che gli altri non hanno fiducia nel mio lavoro mi dimetterei». E sul giallo dell’appartamento monegasco: «È uno spettacolo incredibile! C’è un fascicolo in Procura e parlano di squadrismo! Quando i giornalisti riportano notizie contro Berlusconi i giornalisti fanno il loro dovere, se lo fanno contro altri sono servi e manganellatori. È un doppiopesismo che mi dà fastidio».
A chiedere la poltrona di Fini anche il sottosegretario alle Infrastrutture Mario Mantovani secondo cui «ci sono due cose che non si possono mai tradire: la propria coscienza e il mandato popolare». E il presidente della Camera starebbe tradendo entrambe. Anche il portavoce del Pdl Daniele Capezzone, papale papale, punge: «Gli italiani lo vedono come ha scelto di essere e di mostrarsi: un politico che non risponde alle domande, che non dà spiegazioni, e che resta incollato alla sua poltrona».


Mentre il pidiellino Giorgio Stracquadanio, sul caso Montecarlo, riflette: «Se con l’operazione immobiliare fatta attraverso una società off-shore si configurasse un reato di natura fiscale, be’... Dovrebbe dimettersi. Anche e soprattutto perché ha sventolato la bandiera della legalità un minuto sì e l’altro pure sulla testa del povero Caliendo».

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