Lui, ex operaio dellAlfa di Arese, a trovare un lavoro ci aveva provato. Otto anni fa, dopo aver perso il lavoro, si era dato da fare. A quarantotto anni e con due figli da mantenere, di alternative non ne aveva molte. Quindi, una lunga serie di occupazioni saltuarie per tirare avanti. Nulla di certo, e costante il dubbio sul domani. Fino a quando - dopo essere rimasto ancora una volta disoccupato pochi mesi fa - ha smesso di fare conto pure su quelle. E, da metalmeccanico qual era, si è dato alle rapine.
A giugno lhanno arrestato a Lainate, dopo lultimo colpo in banca. Entrato nellistituto di credito con una palla di plastilina in mano a cui aveva attaccato alcuni fili di rame. «Una bomba», diceva di avere in mano. La messa in scena dellultima spiaggia, linnocua minaccia utile per farsi consegnare i contanti. Una recita ripetuta più volte, e che aveva sempre funzionato. Fino ad allora.
Fino a quando non lhanno messo manette, e allora ha confessato che quella non era la prima rapina. Che anzi, in soli tre mesi a partire da marzo ne aveva messe a segno altre sei nellhinterland di Milano. E al giudice che lha condannato ha ripetuto che lo faceva per pagare la mensa della scuola ai figli, e che se anche aveva commesso un reato più volte lui in verità non era un ladro di professione. E nonostante - in soli tre mesi - avesse messo da parte più di 40mila euro. Tutto vero, compresa la sua fedina penale. Pulita. Incensurato, lex operaio. Un inutile candore.
Perché quella vita «specchiata» non gli ha portato alcuna clemenza. Non quella del pubblico ministero Giovanni Narbone, che aveva chiesto una condanna a sei anni e otto mesi. Né quella del giudice per le udienze preliminari Piero Gamacchio, che - con rito abbreviato - ha ridotto la condanna a «soli» sei anni e mezzo.
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