Roma - La Cassazione avverte le mogli fedifraghe, mai fare sesso con l’amante in casa, si rischia di dovere restituire al marito i doni da lui ricevuti nel corso del matrimonio. Il motivo? Unirsi con l’amante nell’abitazione coniugale è un atteggiamento ingrato e "irriguardoso verso il marito", quindi la moglie deve restituire i beni "per ingratutidine". Applicando questo principio la seconda sezione civile (sentenza 14093) ha respinto il ricorso di Silvana P., una 69enne di Messina che nel lontano 1975 è stata portata in Tribunale dal marito Aldo I. che ha chiesto la revocazione delle donazioni indirette eseguite in favore della moglie, avendo intestato a nome di lei la comproprietà di beni immobili acquistati con il proprio denaro.
L'adulterio I fatti risalgono a ben 33 anni fa: all’epoca Silvana era una giovane 36enne, già madre di 3 figli, ricostruisce la sentenza della Cassazione, ma questo non le aveva impedito di intrattenere "una relazione con un 23enne, protrattasi clandestinamente per vari anni e sfociata nell’abbandono della famiglia per convivere con il nuovo compagno". Il fatto è che Silvana non vedeva il giovane amante fuori, ma lo chiamava nella casa coniugale dove facevano anche sesso. Scoperta la tresca Aldo ha portato Silvana in Tribunale per chiedere la restituzione dei beni in comproprietà che le aveva donato. In primo grado il Tribunale di Messina, 19 ottobre ’90, aveva dato ragione a Silvana che chiedeva di fare fifty fifty ma la Corte d’Appello, il 1 marzo 2005, dichiarava la revocazione per ingratitudine delle donazioni indirette.
La sentenza Silvana, desiderosa di tenersi i beni immobili avuti dal marito, ha protestato fino in Cassazione sostenendo violazione degli art. 802 e 809 c.c. in quanto, a suo dire sarebbe mancata "la prova rigorosa di fatti e circostanze che potessero integrare l’ingiuria grave e in particolare prove del carattere ingiurioso della relazione extraconuigale". Piazza Cavour ha respinto il ricorso di Silvana P. e, facendo proprie le motivazioni dei colleghi di merito, ha evidenziato che proprio il fatto di avere fatto sesso con l’amante nella casa coniugale è stato determinante nel farle perdere i doni. Scrive il relatore Pasquale D’Ascola che la Corte d’Appello "con motivazione incensurabile in quanto esente da vizi logici o giuridici ha ritenuto che costituiva ingiuria grave non tanto l’infedeltà coniugale" di Silvana "la quale all’età di 36 anni, già madre di 3 figli, aveva intessuto una relazione con un 23enne, quanto l’atteggiamento complessivamente adottato, menzoniero e irriguardoso verso il marito, all’insaputa del quale la donna si univa con l’amante nell’abitazione coniugale".
L'ingiuria grave La Suprema Corte sottoscrivendo in pieno un’altra motivazione d’appello ricorda che "l’ingiuria grave richiesta dall’art. 801 c.c. quale presupposto della revocazione" dei beni "consiste in un comportamento con il quale si rechi all’onore e al decoro del donante un’offesa suscettibile di ledere gravemente il patrimonio morale della persona, sì.
da rilevare un sentimento di avversione che manifesti tale ingratitudine verso colui che ha beneficiato l’agente, che ripugna alla coscienza comune". Silvana, oltre a dover restituire tutti i doni all’ex marito, è stata inoltre condannata a rifondere Aldo con 3.100 euro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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