La Fabbrica usa il dialetto per raccontare i suoi segreti

Da oggi a lunedì, ogni sera alle 21 sulle Terrazze e tra le guglie uno spettacolo ripercorre la vita e la costruzione della cattedrale

«Dio me l'ha data, guai a chi la tocca». Ecco Napoleone nel rigoglio milanese della sua grandeur . Era già stato incoronato a Parigi, ma il biancore imponente della cattedrale lo sedusse oltre i rosoni romanici di Notre-Dame tra i quali si era autoproclamato imperatore. Volle e ottenne il Duomo per essere re d'Italia e ricevere la corona ferrea. Grazie al napoleonico capriccio, il Duomo ebbe la sua facciata: la fece costruire lui perché la scenografia del potere fosse perfetta. La corona però gli fu toccata, eccome: se nel maggio 1805 trionfava in Duomo, nel maggio del 1814 era già esule all'Elba e nel maggio del 1821 moriva a Sant'Elena.

È una delle storie della lunga storia del Duomo. Sarà evocato anche Bonaparte sulle terrazze della cattedrale, nello spettacolo Lungh ‘me la Fabrica del Domm , che debutta stasera tra le guglie. Lungo come la fabbrica del Duomo suona la traduzione. In dialetto milanese, nonostante il respiro globale della cattedrale che attira gente da ogni dove e non solo adesso che viaggiare è rapido e facile. Paolo Baratta, direttore della Veneranda Fabbrica, spiega il senso di questa scelta che può sembrare campanilismo e invece è gusto popolare nel senso più intimo: «L'opera è in dialetto perché è la vibrazione del linguaggio del popolo milanese. Riconoscersi in questo timbro vuol dire avere un'identità, appartenere a un popolo che ha un suo linguaggio». E ancora: «Quando è iniziata la storia del Duomo, molte persone venivano da fuori ma i milanesi non hanno mai voluto perdere questa vibrazione. Parlavano dialetto e gli altri dovevano imparare...».

Storia di condottieri e prostitute. Perché tra i protagonisti di questa avventura che dal 1386 attraversa i secoli c'è anche una donna che aveva messo su un bordello. Per dirla in breve, una maîtresse . Alla fine della sua vita, regalò tutto alla Fabbrica. Lei è il personaggio, ma non mancano altre anonime signore che facevano il mestiere più antico del mondo e sono diventate benefattrici. Nella storia c'è Marco Carelli, pietra angolare, mercante e banchiere che si è prodigato a tal punto per la sua chiesa da avere una guglia legata al suo nome. E poi una poetica figura di donna, che trasportava le pietre dal laghetto al Duomo. Tutti episodi veri riuniti a raccontare la storia di un popolo di gente nota ma soprattutto ignota che ha tirato su il suo Duomo.

«Magari nella vita non sono santi i donatori, ma lo diventano quando si rendono conto che il valore vero non sono i soldi ma i segni» affabula Baratta. In scena ci sarà chi trasforma il marmo di Candoglia che è la materia prima e l'anima del Duomo. Gli scalpellini che da sempre sono in simbiosi con il marmo, dando forma alle statue e alle guglie, lavoreranno durante lo spettacolo. Vicino a loro gli attori. È ancora Baratta: «Raccontando la Fabbrica dal 1386 si racconta il popolo milanese. Noi mettiamo in evidenza la volontà del popolo che non lo fa per sé.

È l'energia viva del dono e del popolo ad aver portato avanti il Duomo».

Terrazze del Duomo. Ogni sera alle 21 dal 3 al 10 agosto. Salita con ascensore: intero 13 euro, ridotto 7 euro (bambini 6 - 12 anni). Salita a piedi: intero 8 euro, ridotto 4 euro.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica