Fabris, leggendari pattini d’oro


nostro inviato a Torino

Bronzo, oro e ancora oro: l’Italia olimpica ha la faccia pulita e felice di un ragazzo dell’altipiano di Asiago, di Roana per la precisione, dove sembra che si nasca con i pattini già legati ai piedi. La faccia radiosa di un Enrico Fabris, 25 anni ancora da compiere (accadrà il 5 ottobre), poliziotto perché nel nostro Paese o sei calciatore o ti devi arruolare pena lo zero agonistico assoluto. «Mi sento nella storia», dirà alle sei di sera, tutto contento di esserlo al termine di una gara che più bella e drammatica era difficile da immaginare. E lo dirà senza ancora sapere che il presidente Ciampi ha appena confidato: «Italia, popolo di santi, poeti, navigatori e... un pattinatore».
Il podio dei 1500 parla da solo. Lui, Fabris, chitarrista per hobby, quindi i due americani che non si sopportano, Shani Davis, secondo e già primo nei mille e un amen dietro il grande sconfitto, Chad Hedrick, che si era presentato a Torino con un compitino da nulla: conquistare 5 titoli. Lo aveva detto in patria e lo aveva ripetuto due sabati fa quando si era imposto nei cinquemila, in una gara che aveva visto Fabris terzo grazie a uno straordinario ultimo giro.
Quel pomeriggio, undicesimo giorno del mese di febbraio, era nata una stella anche in Casa Italia. Fabris che legge il compaesano Rigoni Stern, Fabris che adora i Metallica e li suona appena può, Fabris che dorme con la chitarra, Fabris che firma autografi in Olanda, dove il pattinaggio di velocità è una religione e in Italia uno sport che non arriva a contare su cento pattinatori di una certa qualità, Fabris, fortissimamente Fabris.
E cinque giorni dopo, l’oro nell’inseguimento a squadre: lui a trascinare Anesi e Sanfratello, superando prima gli Stati Uniti di un tronfio Hedrick, quindi Olanda in semifinale e Canada in finale. Quella sera disse chiaro e tondo che il calcio si sarebbe dovuto fermare in occasione delle Olimpiadi per rispetto verso chi si spreme per quattro anni nell’anonimato. Visto che siamo in Italia, è un po’ come se un prete bestemmiasse sull’altare. E aveva dato anche appuntamento per il 21, ieri, per la gara che sentiva più sua.
Splendida, ventuno frazioni, le prime undici per riscaldarsi e prendere confidenza con l’ambiente, poi il rifacimento del ghiaccio, quindi i veri vampiri in pista. Fabris è atteso al turno numero 17, accanto all’olandese Kuipers. Il loro riferimento è il tempo del russo Skobrev. Saranno due gare opposte: lo sconforto che prende i tifosi azzurri è la reazione opposta all’euforia delle migliaia di tulipani sugli spalti. Simon è un razzo ai 300, ai 700 e financo ai 1100. Enrico non solo non è in scia a Kuipers ma solo ai 1100 supera virtualmente Skobrev, e di soli 10 centesimi mentre il compagno di corsa addirittura di 54. Suona la campana dell’ultimo giro e inizia la gara del veneto, un turbo-diesel che quando finalmente è caldo sembra succhiare aria, ghiaccio e avversario. Esce dalla penultima curva con una frequenza di falcate che anche gli olandesi colgono. Applaudono e gridano sempre ma con sguardi preoccupati. Enrico recupera a vista d’occhio sul rettilineo, cambia corsia prima dell’ultima curva, vi entra cercando velocità sull’esterno e trovandola: un airone. Kuipers è risucchiato, “fermo”, mentre Fabris fa alzare in piedi tutto il pubblico dell’Oval davanti al suo tempo: 1’45”97, Skobrev è lontano. Farà subito meglio Wennemars, olandese, troppo sicuro di sé in partenza e poi appena quinto, faranno giusto presenza l’americano Parra e il canadese Elm, prima dei soli che potevano ancora superare l’italiano, Hedrick, frazione numero 20, e Davis, la 21ª e conclusiva. Nulla da fare per entrambi.

In 25 centesimi la bella favola di un ragazzo modesto, umile e concreto e anche la brutta storia di una rivalità tra due che non nasconderanno di essere felici perché nessuno tra loro ha vinto il titolo.
Paolo Marchi

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