Tutto potrebbe riportarci a quel giorno, caldo e desolato, in cui un mondo, una città, una famiglia, onorarono Giacinto Facchetti. Purtroppo il giorno del funerale. Facchetti morì il 4 settembre, ormai un anno fa, dopo una malattia velenosa, ultimo tranello per chi aveva preferito veder la vita nel suo lato dolce e positivo.
Quel giorno, appunto, lessenza di un personaggio, la dimensione di un uomo, la forza di una storia, certamente di un amore che molti gli tributarono, divennero sostanza più che apparenza, film di vita più che pellicola per cinematografi, sbocciò il ricordo come fosse un giglio bianco: difficile da dimenticare. Tutto racchiuso in quella folla, quella gente, quegli occhi, quei sentimenti, quel popolo dietro un personaggio meno trascurato dal cuore popolare di quanto si potesse pensare.
E lunedì al festival di Venezia, nella sezione «giornate degli autori», la mostra dedicherà al ricordo di Facchetti un documentario intitolato «Il Capitano», realizzato da Alberto DOnofrio. Racconto attraverso coloro che meglio hanno conosciuto Facchetti, nei pregi e nei difetti: compagni, amici, giornalisti, la sua famiglia, Massimo Moratti che rappresenta laltra famiglia. «Un uomo tranquillo, un giocatore bandiera, un terzino atipico, allinizio quasi incompreso», ricordano Mazzola e Boninsegna. «Una persona dolcissima che sapeva ottenere il rispetto con uno sguardo», dice Barbara, la figlia.
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