Facebook verso Wall Street una scommessa sugli utili

Facebook verso Wall Street una scommessa sugli utili

Oggi Facebook dovrebbe depositare presso la Sec, la Consob statunitense, i documenti necessari per la quotazione in Borsa. Per il social network si attende una valutazione che va dai 75 ai 100 miliardi di dollari con la previsione di rastrellare sul mercato 10 miliardi. Sarebbe dunque la quarta Ipo statunitense, per ordine di valore, dopo quelle di Visa, General Motors e At&t e la maggiore per quanto riguarda la web economy. Ben superiore a quella di Google del 2004, l’anno in cui venne fondata Facebook da Mark Zuckerberg nel dormitorio dell’università di Harward. Per la cronaca il motore di ricerca rastrellò in Borsa 1,9 miliardi di dollari contro una valutazione complessiva di 23 miliardi. Oggi Google capitalizza il doppio rispetto alla valutazione prevista per Facebook. Non c’è dubbio comunque che Facebook dovrà dimostrare alla Sec, prima di procedere alla quotazione prevista per maggio, il suo effettivo valore che spesso è messo in discussione dagli analisti. La società di Zuckerberg ha dalla sua l’enorme numero di utenti registrati: 800 milioni che si prevede diventeranno un miliardo prima dell’ascesa in Borsa. Ma non c’è dubbio che le banche che assistono Facebook nella quatazione, Morgan Stanley e Goldman Sacks, dovranno faticare non poco a giustificare la fantasmagorica valutazione. Come si fa dunque a trasformare un miliardo di utenti in 100 miliardi di dollari di valore?
Per il momento infatti pare, anche se numeri ufficiali non ce ne sono, gli utili sono bassi. Quanto al fatturato, che si basa essenzialmente sulla raccolta pubblicitaria, è stato nel 2011 4,2 miliardi di dollari, il doppio rispetto al 2010. Quello di Google è arrivato a 37 miliardi di dollari con un utile di circa 9 miliardi. Facebook dunque con 100 miliardi di capitalizzazione dovrebbe produrre 5 miliardi di utile, la stessa cifra che, se va tutto bene, dovrebbe produrre come fatturato nel 2012. Ma come funziona Facebook? Oltre alla pubblicità in cui si imbattono gli utenti che usano il social network, che viene visualizzata non a caso ma seguendo degli algortimi che dovrebbero in qualche modo indicare le loro preferenze, ci sono anche i «crediti». In pratica una moneta virtuale con acquistare giochi o applicazioni. E gli sviluppatori che vogliono vendere le loro applicazioni su Facebook devono riconoscere alla società il 30% delle revenue. La società però punta anche su altro. Nei giorni scorsi è circolato uno studio di Deloitte, forse non proprio casuale. L’intenzione era quella di spiegare come il social network agisse sull’indotto. In Italia il giro di affari «provocato» con la creazione di pagine e di annunci pubblicitari per interagire con potenziali clienti, ammonterebbe a 2,5 miliardi di euro, inferiore soltanto al mercato tedesco e inglese (2,6 miliardi).
In dati assoluti, dice Deloitte, la Ue fa registrare un volume da indotto di oltre 15 miliardi con oltre 230 mila posti di lavoro legati alla società fondata da Zuckerberg.

Oltre 110 mila correlati alla «business participation», quasi 33 mila alle professioni e agli effetti della piattaforma (tra cui gli sviluppatori di applicazioni), oltre 85 mila nelle vendite. Insomma Facebook non sarebbe solo un sito per «perditempo» in cerca di facili chiacchiere, ma anche un luogo di lavoro e di accrescimento del proprio business. Una missione nobile, ma, certo, difficile da monetizzare.

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