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Fadlallah: «Al Zawahiri ha torto Gli italiani sono nostri amici»

Il capo spirituale di Hezbollah respinge le minacce di Al Qaida: «Spero tanto che il lavoro dei vostri soldati abbia successo». Ma agli altri non fa sconti

Fausto Biloslavo

da Beirut

Affaticato dal peso degli anni, dal diabete e dalla caccia degli israeliani, che lo vorrebbero catturare vivo o morto, Mohammed Hussein Fadlallah risponde, però, con lucidità e cipiglio alle domande de Il Giornale. L’intervista esclusiva è avvenuta nel piano sotterraneo della moschea Al Hassanein del quartiere sciita di Beirut colpito dai bombardamenti israeliani. La sua residenza ufficiale era stata incenerita nei primi giorni di attacchi aerei. Barbone bianco, turbante nero, classe 1935, Fadlallah è il Marja, la più importante figura spirituale fra gli sciiti libanesi, con un vasto seguito nella base di Hezbollah. Pur avendo partecipato alla nascita del partito di Allah, negli anni Ottanta, ci tiene a specificare che parla a titolo personale.
Lei ha appoggiato Hezbollah durante la guerra: pensa che siano stati compiuti degli errori? Si poteva evitare questo conflitto?
«Non vedo alcun errore. Hezbollah non aveva pianificato il conflitto: ha catturato i due soldati israeliani con l’intenzione di scambiarli con dei prigionieri libanesi e forse con dei palestinesi. In passato azioni del genere erano già riuscite. Noi crediamo che questo conflitto sia stato pianificato da americani ed israeliani per scatenare una guerra mondiale contro il Libano e contro Hezbollah, assieme ad altri Paesi occidentali. L’errore l’hanno compiuto i grandi Paesi occidentali e le Nazioni Unite scaricando la colpa su Hezbollah. La cattura dei due soldati israeliani non è proporzionale ad un’azione così aggressiva e distruttiva».
Lei ha dichiarato che il primo ministro britannico, Tony Blair, è «persona non grata» in Libano. Perché?
«Blair non ha appoggiato la tregua quando gli israeliani ci bombardavano, come avevamo proposto. Un altro aspetto importante è che l’America ha messo in piedi un ponte aereo verso Israele, che passava per Londra. Il primo ministro britannico ha accettato di far passare le bombe “intelligenti”, che poi sono state usate contro i civili libanesi. Blair è complice dei massacri compiuti dagli israeliani, assieme a Bush».
I caschi blu italiani sono appena arrivati nel Libano. Il numero due di Al Qaida, Ayman al Zawahiri, ha dichiarato «che rappresentano una minaccia per l’Islam». I nostri soldati sono benvenuti, oppure no?
«Personalmente ho un rapporto di amicizia con gli italiani e molto positivo con l’ambasciatore italiano (Franco Mistretta, nda) che viene a farci visita di tanto in tanto. Noi apprezziamo il popolo italiano per le manifestazioni che ha organizzato durante la guerra contro l’Irak e per quelle a favore del Libano e dei palestinesi. Quindi ci auguriamo che il ruolo degli italiani all’interno della missione Unifil abbia successo».
Molti in Occidente sono convinti che Hezbollah sia un movimento terrorista. Cosa ne pensa?
«Rifiutiamo il terrorismo da qualsiasi parte provenga, ma distinguiamo fra la violenza per liberare la propria terra e la violenza contro i civili. Hezbollah si è mobilitato solo per difendere l’indipendenza del nostro Paese. Se dobbiamo considerare la resistenza libanese come terrorismo, allora pure la resistenza europea contro i nazisti era composta da terroristi. Inoltre ci chiediamo perché certi Paesi europei non riconoscono il governo di Hamas, pur sapendo che è stato eletto democraticamente. Dicono che Hamas deve riconoscere Israele, ma con altre nazioni come l’Indonesia e la Malesia che non lo riconoscono hanno relazioni normali. Noi ci auguravamo che l’Europa potesse aprire un dialogo fra Hamas ed Israele».
Cosa pensa del problema del disarmo di Hezbollah?
«Le armi di Hezbollah servono per difendere il territorio libanese, perché l’esercito non ha la forza di farlo. Lo Stato, fino ad ora, è rimasto neutrale nello scontro con Israele. Quando l’esercito libanese verrà fortemente armato, allora non ci sarà più bisogno degli arsenali di Hezbollah».
Come giudica l’influenza dell’Iran e della Siria su Hezbollah?
«Non credo che Hezbollah prenda ordini dalla Siria o dall’Iran, ma è amico della Siria e dell’Iran. Nello stesso modo in cui altre fazioni libanesi sono amiche sia degli americani che dei francesi».
Hezbollah e lei credete ancora nella «liberazione» di Gerusalemme?
«Non accettiamo la tesi di Israele secondo la quale la Palestina è la patria data da Dio agli ebrei. La Palestina è stata sempre abitata da musulmani, cristiani ed ebrei. Quest’ultimi, però, hanno cacciato la maggior parte degli arabi palestinesi mettendo sotto assedio i rimasti. Per questo diciamo che Gerusalemme era araba e deve rimanere araba».
Mi faccia capire: lei appoggia l’idea di due popoli e due Stati, per israeliani e palestinesi, oppure no?
«Se vogliamo essere realisti è molto difficile credere in un solo Stato. I palestinesi hanno accettato un loro Stato entro i confini del 1967 (Cisgiordania e Gaza, nda), nonostante avessero una posizione strategica per una sola Palestina».
Come giudica le frasi del presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, che negano l’Olocausto e puntano alla distruzione d’Israele?
«Ahmadinejad esprime delle opinioni personali, ma sono concetti che vanno sottoposti ad un dibattito. Prima di lapidarlo, per qualsiasi cosa che dice, meglio discuterne».
Lei è nel famoso mazzo di carte israeliane dei ricercati, vivi o morti, assieme ad Hassan Nasrallah, il capo di Hezbollah. Teme per la sua vita?
«Ancora prima di Nasrallah ero contrario all’occupazione israeliana della Palestina. Nella mia vita ho subito molti attentati, sia da parte israeliana che americana, perché non conoscono altri metodi per chi li contrasta».
Come pensa si possa risolvere la vicenda dei due soldati israeliani nelle mani di Hezbollah?
«Ci sono due prigionieri israeliani in Libano ed uno in Palestina, a Gaza, ma pure diecimila palestinesi nelle carceri d’Israele.

Perché allora si parla tanto degli israeliani? I prigionieri israeliani sono d’oro e quelli palestinesi e libanesi di argilla? Facciamo appello ad un approccio umanitario per tutti e quindi crediamo che l’unica soluzione sia uno scambio di prigionieri, non esiste alternativa».

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