RomaDa «incendiario» a «linciato», tutto in una notte. Di solito ci si mette una vita, a passare dai fuochi giovanili alla mite indeterminatezza dellacqua che ogni cosa comprende e smorza. Fabrizio Cicchitto, rimasto indenne tra i roghi della prima e della seconda Repubblica, pompiere di sicuro non lo è diventato. Vive il passaggio di stato con la naturalezza del navigante di ogni mare: «Non abbiamo fatto altro che ricordare ciò che tutti gli italiani hanno avuto sotto gli occhi quotidianamente: una campagna dodio e di disprezzo contro Berlusconi che ha innescato una serie di reazioni a catena... Non vediamo perché avremmo dovuto tacere su tutto questo mentre Berlusconi è ancora in un letto dospedale, con il volto ferito».
Eppure il suo discorso in aula dellaltroieri non è affatto piaciuto al presidente di Montecitorio. Tra le varie aggettivazioni scelte da Gianfranco Fini, tra i «falchi» e gli «incendiari», forse la più dirompente non è stata neppure quella di «bomba molotov». Peggiore era stato leffetto dello strano battibecco in aula tra lo stesso Cicchitto e il suo vice, il vellutato Bocchino, finiano dosservanza. Duello muso contro muso - del tipo: «Parlo io, no parlo io, se parli tu mi faccio un gruppo mio» - che ventiquattrore dopo sembra essersi ridimensionato a incidente scaturito dalla tensione del momento. Episodio che pure stupisce molti deputati, perché i rapporti tra «Fabrizio e Italo, dicono, al di là delle rispettive posizioni, sono sempre stati eccellenti, da amici che si rispettano e frequentano pure fuori di qui». Ma stavolta le strade hanno rischiato di incrociarsi brutalmente. E qualche scoria non è stata ancora digerita, se ancora ieri Bocchino, a proposito del «linciaggio» denunciato ai danni di Cicchitto dallintero partito (o quasi), si è limitato a un: «Bisogna che tutti abbassino davvero i toni: in piazza, in Parlamento, in tv e sui giornali».
Cicchitto, in effetti, i toni li aveva lasciati alti, additando quel che ha definito un «network della menzogna e dellodio nei confronti di una sola persona: Berlusconi». La prima reazione è stata quella del direttore di Repubblica, Ezio Mauro, in un editoriale di cui basterà riportare lincipit: «Servono due parole per rispondere allonorevole Cicchitto, che scambiando laula di Montecitorio per un bivacco piduista si è permesso di accostare il nome di Repubblica a quello dellaggressore di Berlusconi...». Di concerto laffondo arrivato dal direttore di Micromega, Paolo Flores dArcais, per il quale sono state «parole vili e sciagurate» quelle di Cicchitto che, «facendosi vilmente scudo dellimmunità di casta, ha accusato Marco Travaglio, uno dei rari giornalisti ancora in piedi in questo Paese, di essere un terrorista mediatico e uno dei mandanti morali, assieme al Fatto quotidiano e al gruppo di Repubblica-LEspresso, dellaggressione di uno psicolabile a Berlusconi». E se Michele Santoro affila le armi per il suo imminente Annozero, non sfugge alla mischia il direttore del Fatto quotidiano, Antonio Padellaro, inviperito per loltraggio perpetrato a sua maestà Travaglio, addirittura «pestato», dice, dalle parole del capogruppo pidielle. Né poteva mancare la «sorpresa e indignazione» dellAnm per «il grave attacco e le inaccettabili invettive rivolte da Cicchitto ai magistrati impegnati in delicatissime indagini».
Insomma, lappello di Napolitano per lo smorzare dei toni pare essere stato «accolto con entusiasmo» solo da Napolitano, come ha ironizzato la Jena sulla Stampa di ieri. Di sicuro, Cicchitto ribadisce di non avere alcuna voglia di «genuflettersi a Repubblica» e ricorda che la campagna di stampa di quel quotidiano «invita al linciaggio». Ma non ci facciamo intimidire, insiste.
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