Faletti l’americano si autoassolve in tv Gli altri? Meglio tacciano per sempre

Giorgio Faletti al suo meglio. Giorgio Faletti che gongola, che recita, che torna al suo geniale «Porco il mondo che c’ho sotto i piedi... se ti prendo ti smonto come il cubo di Rubik», che va in giro con un paio di calze di nylon per far finta di fare il serial killer strangolatore. Ecco quello che è andato in onda l’altra sera durante la prima puntata di Victor Victoria la trasmissione molto radical chic condotta da Vittoria Cabello su La7. In quello che è diventato una sorta di salottino buono per quelli intelligenti e moderni che piacciono a quelli moderni e intelligenti (subito dopo Faletti è stato il turno della Seracchiani che entrata pogando, tanto per dimostrare che nel Pd a 38 anni si ancora ragazzini) il Giorgio nazionale e poliedrico è stato allegro e divertente.
Però gioca che ti rigioca è finita che l’hanno fatto parlare, con ovvia copertina sul maxischermo, del suo ennesimo libro sfonda classifiche, Io sono Dio. Così ha ritrovato tocchi di improvvisa serietà. Si è detto da solo di aver ricevuto delle critiche entusiaste (intendendo entusiastiche), che con il suo romanzo ambientato a New York «ha fatto crollare la finzione dietro la realtà» (intendendo non si sa esattamente che cosa), e aggiungendosi poi qualche altro auto complimento. Niente di male: il promo è l’anima della tv. E grammaticalmente è andato molto meglio di quando in una trasmissione di Augias Faletti spiegò che certe indagini si erano svolte con una certa «affrettazione».
Poi però Vittoria, civettuola, gli ha chiesto: «Ma le accuse di questa estate...». E lì Faletti, senza sgradevoli contraddittori, ha spiegato che una persona lo ha accusato di aver «tirato» delle espressioni inglesi nel romanzo ma che lui gosthwriter non ne ha e che i personaggi dei suoi libri li fa parlare come vuole. E quindi chi non ha la prova provata (nome, cognome, indirizzo e codice fiscale) di chi scrive per lui è meglio che «taccia per sempre» e non rovini i suoi sponsali con il lettore. Ha poi aggiunto: «Possibile che in Italia quando uno pubblica un libro di successo non l’ha mai scritto lui? Nella vita per avere successo devi fare il ricattatore, lo spacciatore o la escort: allora ti invitano ovunque e ti chiedono di fare cinema e tv...». E però, mentre arrivavano gli inevitabili applausi di quelli moderni e intelligenti, allo scrivente qualche dubbio è venuto. Parlando di un libro in cui ci sono decine di espressioni (non le rielencheremo) che sembrano brutali calchi dall’inglese come è possibile che all’autore non riesca mai e poi mai di spiegare perché quei calchi sono lì. Parlando di una scrittura «atipica» su cui hanno espresso dubbi un buon numero di traduttori possibile che Faletti non riesca a far altro che prendere di petto la traduttrice che si è esposta di più, Eleonora Andreatta? Prima la accusa sulla Stampa di aver inscenato una «querelle premestruale» poi le scrive, sempre sulla Stampa: «Quando il gioco si fa duro i duri incominciano a giocare... Invito accettato giochiamo» (frase che o non vuol dir niente o che è una minaccia, a scelta). Infine dal piccolo schermo, invece di scusarsi per i toni che ha usato con lei, toni non inadeguati a ricattatori, escort o spacciatori (cioè tutti quelli che vanno in Tv senza essere Faletti) la derubrica a una tizia che ha detto la sua al bar. Insomma, o si dice che Faletti è un genio e si applaude con Vittoria Cabello, pogando poi con Debora Seracchiani o si è degli invidiosi. È vero di Faletti siamo invidiosi.

Crediamo che non abbia un gosthwriter e che la frase «Il gatto, che accettava con le sue semplici implicazioni feline le carezze sulla testa sul collo» l’abbia scritta lui. Noi quella frase gliela invidiamo tanto, non saremmo mai riusciti a pensarla (aiutati dal fatto che sappiamo che implication vuol dire altro).

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