Il fallimento della Vincenzi non dipende dall’inchiesta

L’opposizione del Pdl ha dato prova di serietà senza sciacallaggi

Il fallimento della Vincenzi non dipende dall’inchiesta

(...) l’impressione di crederci: «Non ci importa della fondatezza giuridica. Il punto decisivo era che indagano su gente di sinistra».
Ecco, io credo che questa sia barbarie. Nè più, nè meno. Quella sera l’ho detto agli interessati. In faccia, senza risparmiarmi, senza paura della contestazione. E sapete cosa vi dico? Che, alla fine, credo di essere riuscito a convincerli. Dimostrazione pratica e concreta di come non serva sempre assecondare i peggiori istinti e di dare sangue a chi ne chiede. Anzi.
E non è un caso se anche Silvio Berlusconi ha avuto sempre questa linea cristallina sulla giustizia applicata alla politica. Anche quando il «popolo dei fax» chiedeva linciaggi mediatici per gli avversari politici; anche quando altri gli consigliavano di spingere sull’acceleratore; anche quando lo incitavano a fare come la sinistra che, quando lui era sotto inchiesta, scatenava la guerra civile; anche quando lo scongiuravano di ribattere colpo su colpo. Berlusconi non l’ha fatto. Berlusconi ha vinto. Chapeau. Lo stesso cappello che mi levo di fronte al Vaticano per la reazione su Profiti. Una lezione a quelli che magari pensavano a Ratzinger nell’associazione a delinquere sulle mense liguri.
Ecco, penso che anche nella vicenda genovese degli ultimi giorni funzioni allo stesso modo. Non tanto sulla fondatezza degli addebiti, che non mi permetto di giudicare. Ho il massimo rispetto della magistratura e, quindi, se qualcuno ha rubato, è giusto che paghi, ci mancherebbe altro. Fra l’altro, al di là dell’esito penale che ne scaturirà, credo che il merito inconfutabile dell’inchiesta sia quello di aver detto quello che abbiamo sempre detto, noi e pochi altri, anche quando non era di moda dirlo. E cioè che c’è un sottobosco affaristico che si annida ovunque c’è il potere. Ed essendo il potere a Genova e in Liguria assolutamente monocolore, gli ex Ds alle nostre latitudini non potevano che esserne una specie di calamita. Oltre che di calamità, ovviamente.
Alla faccia di quelli che parlavano di «diversità», di «questione morale» e di «superiorità antropologica». Alla faccia di alcuni (non tutti) nostri colleghi di sinistra che, alle conferenze stampa, ci guardavano spesso come subumani, figli di un dio minore, razza inferiore rispetto a quella degli onestissimi. Ma, proprio perchè l’abbiamo sempre detto e abbiamo sempre denunciato l’intreccio perverso fra sinistra e mondo degli affari di Genova e della Liguria, oggi possiamo permetterci di dire un’altra cosa. E cioè che la giunta Vincenzi deve dimettersi perchè per un anno ha fatto poco o nulla (salvo, paradossalmente, tutto quello che ha portato avanti Stefano Francesca, ma su questo torneremo), e non perchè il braccio destro del sindaco è in carcere.
Per di più, credetemi, sarebbe stato molto più semplice il contrario. Nessuno di noi ha nulla a che spartire con indagati e arrestati. E molti di quelli di sinistra (non tutti, fortunatamente e negli ultimi tempi sempre meno), ci snobbano sistematicamente. Per loro il Giornale e noi che ci lavoriamo siamo fantasmi, da tagliar fuori da tutto. Tanto per capirci, potete star certi che noi consulenze o affari con questi non ne abbiamo mai fatti. Anzi, non ci hanno mai offerto nemmeno un caffè. Nè abbiamo mai passato serate danzanti sulle terrazze di imprenditori rampanti in compagnia di belle donne e buone bottiglie. Per carità, se l’avessimo fatto, non ci sarebbe stato niente di male. Ma noi non l’abbiamo fatto.
Ma il garantismo è qualcosa che va oltre. La bella notizia è che anche la politica sembra averlo capito. E il comportamento della grande maggioranza degli esponenti del centrodestra in questa vicenda è stato assolutamente meritevole e degno: anzichè cercare di rovistare nelle briciole sotto il tavolo delle intercettazioni e magari in qualche maleodorante cassonetto della spazzatura delle maldicenze messe in giro ad arte, hanno volato alto. Evitando, ad esempio, di cavalcare chiacchiere da bar fra millantatori che sembrano mancare di ogni riferimento con la realtà. E capendo che la Politica - o, almeno, quella che io ritegno tale - si fa con gli strumenti della politica, non con quelli del voyeurismo o del buco della serratura.
Dal punto di vista giornalistico, abbiamo deciso di comportarci allo stesso modo. Mi fanno orrore i giornali trasformati in succursali delle cancellerie dei tribunali, magari con la pubblicazione di conversazioni di Tizio e Caio che parlano male di Sempronio o gli attribuiscono fatti, comportamenti o idee di cui Sempronio non sa nulla. Però, visto che lo dice l’intercettazione, allora è vero. Ma scherziamo? Ma dove siamo? Fra i barbari, con tutto il rispetto per i barbari?
Senza contare i risvolti stilistici della questione. Perchè non c’è niente di esteticamente più brutto della lettura di intercettazioni, tranne che se ne occupino avvocati, pm e gip che devono farlo per lavoro. L’italiano è stentato, i concetti smozzicati, i nove decimi delle cose che si dicono inutili, occorre inquadrare il tutto nel contesto. E non mi sembra un caso che, in qualche caso (non in tutti, per carità), il copia-incolla degli atti giudiziari sia una caratteristica di colleghi che hanno qualche problemi con la consecutio e proprio con l’uso dell’italiano e quindi possono dare il meglio di sè con la fotocopiatrice o con il comando «copia-incolla» del computer. Analfabetismo giuridico e analfabetismo tout court, spesso, vanno quasi di pari passo.
Quello che mi ha fatto estremamente piacere è invece la vostra reazione: in questi giorni ho ricevuto moltissime telefonate e attestazioni di sostegno a questa linea. Non era scontato. É chiaro che una linea completamente garantista e attestata sull’assoluto rispetto umano degli indagati, avrebbe potuto dare fastidio a qualcuno. L’avrei anche capito e sarebbe stato anche umanamente legittimo: ma come? Per una volta si scoperchia il calderone di affari rossi che aleggia sulla città e noi, che li abbiamo sempre denunciati, anzichè gettarci dentro a capofitto, stiamo un passo indietro?
Vi assicuro che non sono impazzito, così come non è impazzito il nostro direttore Mario Giordano che, da persona straordinariamente perbene qual è, la pensa esattamente allo stesso modo sul garantismo e sugli avanzi di cancelleria truccati da giornalisti. Ovviamente, come su tutte le vicende, non vi abbiamo negato alcuna informazione. Ma senza fare il tifo, da osservatori, senza mettere in mezzo gente che non pare non c’entrare proprio nulla. Ad esempio, in questi giorni abbiamo letto della possibilità che il figlio di Burlando sia stato accompagnato a scuola con l’auto blu il 27 giugno, quando la scuola era finita l’8. Oppure che il senatore azzurro Grillo trafficava con i calabresi pacchetti di tessere per partecipare a congressi. Piccolo particolare: erano congressi unanimi in cui non si votava e le tessere non servivano a nulla.
Sinceramente, non c’è nulla che mi mette più tristezza di quelli che festeggiano le manette di qualcuno. Mi è capitato di vivere di questi entusiasmi nel 1992 ed è quello di cui più mi vergogno nella vita.

Non auguro la galera a nessuno e mi limito ad auspicare che la giustizia faccia il suo corso. Maramaldeggiare, infierire, festeggiare, sobillare, sogghignare, è qualcosa che mi fa ribrezzo. Di qualsiasi colore sia la maglietta di indagati e arrestati.

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